Pensando, lontani da ogni retorica, a Pier Paolo Pasolini, alla sua attualità, alla sua incommensurabile grandezza in occasione del 47° anniversario della sua barbara uccisione
Pasolini, figura poliedrica di intellettuale, poeta, scrittore, drammaturgo e regista, è stato, ed è, un raro esempio di rigore e di onestà intellettuale capace come nessun altro di profondità di elaborazione e di analisi della realtà sfuggendo a ogni tipo di elitarismo, settarismo o appartenenze a conclamate e riconosciute intellighenzie. La sua attualità consiste nell’essere sempre stato un uomo libero in tempi in cui la norma era ghettizzare ed essere ghettizzati, essere alternativi andava di moda come la contestazione rispetto alla quale ha saputo mettere a nudo i limiti e i difetti dei veri conformisti. Coloro, cioè, che figli della borghesia, alzavano ipocritamente il pugno come le bandiere della libertà. La sua attualità consiste nell’avere smascherato il falso mito del “progresso”, nell’aver saputo profeticamente “vedere”, già cinquant’anni fa, i rischi dell’omologazione, mentale e culturale, dell’imbarbarimento della stessa società civile, dell’appiattimento della cosiddetta “modernità”. La scomparsa, meglio la mutazione, del proletariato prima, del sottoproletariato urbano poi, l’annullamento delle identità, dei dialetti, la sua vana ricerca di autenticità, di verismo. E attuale per la sua instancabile ricerca della, e delle, verità scomode, troppo scomode. Attuale perché la sua barbara uccisione resta una colpa sulla coscienza dello Stato, una macchia indelebile, tra le tante che hanno deturpato e impedito la crescita democratica del nostro povero martoriato paese la cui storia è tragicamente attraversata da una lunga interminabile scia rossa di sangue.
Luca Carbonara