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Presentazione della silloge di racconti edita per i tipi di Cultura e dintorni Editore “Super Cavie. Racconti satirici di Transumanesimo e ‘Pornodistopia’” di Rossella Monaco
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L’irresistibile richiamo del sound di “Two and the machine” il nuovo album della sorprendente etichetta nusica.org. Intervista a Michele Tedesco e Gian Ranieri Bertoncini
L’irresistibile richiamo del sound di Two and the machine il nuovo album della sorprendente etichetta nusica.org
Intervista a Michele Tedesco e Gian Ranieri Bertoncini
a cura di Luca Carbonara
Come nasce il vostro sodalizio prima umano e poi artistico?
GRB – MT : Invertirei cronologicamente le due cose. Prima è stato un incontro
professionale, in un progetto in cui eravamo entrambi stati chiamati come “sessionmen”. Fatalità… pur abitando a pochi chilometri di distanza ci siamo conosciuti in quel contesto a Trento, cioè da tutt’altra parte… In quella occasione ci siamo
ripromessi di tenerci in contatto per lavorare su nostre idee e così e nata una proficua
ed assidua collaborazione. Con Michele ho un rapporto molto costruttivo, sia sul
piano musicale che su quello di confronto di idee, nonostante il notevole divario
anagrafico… tanto per capirci: lui mi chiama spesso il “nonnetto scorbutico” :-). In
realtà c’è molta affinità di intenti e metodo di lavoro, diciamo che siamo entrambi
abbastanza stacanovisti…
Che cosa significa per voi suonare? Se in principio era il Verbo e se la vita era la luce degli uomini dove nasce la musica nel silenzio siderale che tutto avvolge austero custode della memoria del cosmo?
GRB: Suonare per me è un’esigenza creativa che ho sempre sentito come una
componente imprescindibile nella mia vita. Per entrare più nel dettaglio penso di
essere più un “organizzatore di suoni” che musicista nell’accezione classica del
termine. E’ proprio questa pulsione mi ha spinto ad esplorare più direzioni possibili
anche se la centralità esecutiva rimane sulla batteria. Il Suono è un’arma potentissima
e di cui ho un profondo rispetto, purtroppo spesso viene trattato con superficialità o
per secondi fini non strettamente connessi alla sua essenza e questo è a mio avviso un
atteggiamento inaccettabile.
MT: ho cominciato a suonare, come molti musicisti, a 3,4 anni. Non ho mai
smesso, indi la definirei un’esigenza tanto primaria ed irrinunciabile ai fini di identifi
care la mia stessa persona ed altresì un’attività usuale ed abituale.
L’innovativa etichetta musicale e associazione culturale nusica.org che si
distingue per la sempre attenta e attiva ricerca di nuovi e innovativi talenti
musicali è giunta con l’uscita il 18 maggio u.s. del vostro nuovo album Two and the machine, che nel titolo sembra echeggiare il capolavoro musicale di James Brown The sex machine, alla sua ventinovesima produzione. Come è nata l’idea di quest’ultima fatica musicale e quali sono stati i motivi ispiratori?
GRB: L’accostamento con James Brown è lusinghiero, anche se avverto una certa
discrepanza di intenti rispetto a Sex Machine… 🙂 L’idea è nata su mie
composizioni, alcune ferme nel cassetto da anni ed altre recentissime. Nel mio
percorso volevo associare l’uso del computer ad una situazione umana molto ridotta
in termini di numero di musicisti e con Michele ho intravisto la possibilità di poter
sviluppare questo progetto, intuizione che si è rivelata giusta: con lui è molto
semplice poter mettere in pratica le idee, essendo un musicista molto preparato e
sensibile.
MT: Ero alla ricerca di nuove sfide musicali perseguendo sempre la strada della molteplicità musicale intesa come contaminazione stilistica. Gianni mi ha proposto la sua
idea del duo con una terza entità elettronica e l’ho subita colta. Il progetto mi ha dato
la possibilità di sperimentare sonorità musicali e accostamenti stilistici nella speranza,
e volontà risultino destabilizzanti ma musicali per l’ascoltatore.
Il nuovo album è stato anticipato dall’uscita il 10 maggio u.s. del singolo Plastic Noodles che sembra rappresentare in sé conchiusa la summa del vostro pensiero militante da un lato e la sintesi perfetta delle vostre scelte di campo per ciò che riguarda la ricerca delle sonorità, la selezione degli strumenti e delle “voci” cui affidare l’arduo compito di “dire”, e insieme testimoniare, tutto ciò che le parole non riescono evidentemente a dire dall’altro. Come siete arrivati a questa scelta quasi estrema, di eleggere a terza protagonista ma prima e unica “voce” proprio la musica strumentale?
GRB: Siamo militanti al pari di una qualsiasi persona che abbia occhi ed orecchie per
vedere e sentire ciò che sta accadendo nel mondo. A partire dalla rivoluzione
industriale c’è stata una frenetica impennata del cosiddetto “progresso” e conseguente
abuso delle risorse che ci ha portati alla situazione attuale che tutti tragicamente
conosciamo. Paradossalmente è stato questo progresso a darci la possibilità di avere a
disposizione una tecnologia “a basso costo” nella produzione musicale, permettendo
praticamente a tutti di avere accesso ad una manipolazione del suono fino a qualche
tempo fa appannaggio di grandi studi di registrazione. Riguardo al fatto di raccontare
o denunciare una certa condizione attraverso il suono, penso che la relazione tra le
due componenti si possa considerare una comunione di intenti dettata dallo stato
d’animo ma che non necessariamente sia così esplicita. Può essere che una persona
che ascolta Plastic Noodles non ci senta quel tipo di messaggio e possa associare il
suono in esso contenuto ad altre visoni, per noi diventa importante che vi sia la
veicolazione di un concetto usando le nostre “armi” di denuncia, ossia i nostri suoni.
In altri termini siamo lontani da un’idea di “musica a programma”; anche perché sono
convinto che una volta che il pezzo prende forma abbia una vita propria totalmente
autonoma rispetto all’idea di partenza, che però persiste nella mente dell’autore.
Come un figlio, cresce e prende la sua strada a dispetto delle aspettative genitoriali.
Il vostro è chiaramente un atto d’accusa e di denuncia nei confronti dell’insania dell’uomo capace di distruggere il mondo di cui è indegno ospite, un canto dolente di richiamo e di rimpianto. Può la musica sensibilizzare prima e salvare poi il mondo inteso questo non come ambiente naturale che senza l’essere umano riacquisterebbe presto il suo primitivo splendore ma come comunità di uomini e di donne non ancora in grado di vivere in pace e in armonia?
GRB: Ho già risposto in parte a questa domanda nella precedente… La musica è un
potente mezzo di comunicazione ma l’uso che l’umanità può farne diventa proficuo o
deleterio, come ogni aspetto della vita nella condizione umana. Nella maggior parte
dei casi le persone, nella cultura occidentale, la adoperano come un qualsiasi altro
“suppellettile”, un accessorio utile ma non indispensabile. A me questo atteggiamento
crea una profonda frustrazione. In alcune civiltà l’importanza della musica è a
tutt’altri livelli, essa accompagna in maniera preponderante la vita stessa, ne è una
delle colonne portanti. Solitamente non sono uno che ama le citazioni, però in questo
caso mi viene in mente un motto Mozartiano : “Se tutti potessero sentire la forza
dell’armonia, allora il mondo cesserebbe di esistere. Nessuno si occuperebbe più dei
bisogni di tutti i giorni e tutti si abbandonerebbero all’arte”. Concetto estremo, ma di
gran fascino.
MT: Temo la risposta sia no! La musica sarebbe senz’altro capace di risollevare la
comunità umana nel mondo ma il problema è che la stessa è prodotto umano e, per
sopravvivere e diffondersi nel modo più proficuo, deve essere comunque promossa
dagli umani stessi, difettosi al reale concetto di egualitaria comunità ai fini di pace e
armonia…..e penso che la storia contemporanea ne risulti un testimone inappuntabile.
Quali sono i vostri progetti e programmi futuri?
GRB – MT:: Creare! E suonare il più possibile in ambiti in cui ci si possa esprimere
al meglio, come è successo con nusica.org, un’etichetta che è diventata uno spazio
importante per l’espressione musicale di oggi. E grazie ad essa potremo iniziare il
cammino live nell’ambito della rassegna Sile Jazz, il 15 giugno a Preganziol (TV)
sperando di poterlo proporre poi in più situazioni possibili.
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Sulle infinite strade di un camminante curioso. Intervista a Stefano Marinucci
Sulle infinite strade di un camminante curioso
Intervista a Stefano Marinucci
a cura di Luca Carbonara
Nato a Roma, il suo imprinting fatale, a dimostrazione di come e quanto proprio i natali influenzino in modo straordinariamente determinante, molto più di quanto si creda, la vita di ognuno di noi, lei è riuscito a sublimare le sue stesse origini rendendo a dir poco eclettica e polivalente la sua esistenza. Che cosa è significato per lei nascere a Roma?
Molte scritture affermano che questo immenso luogo metropolitano non è possibile definirlo, essendo una geografia schizofrenica, paradossale, talmente stratificata da risultare indecifrabile e incoerente. Ci sono stati numerosi tentativi per collocarla e descriverla, come fosse un teorema: dai margini, dal centro, con i diari o le pitture, attraverso le guide e le inchieste. La verità è che è una dimensione piena di fantasmi e Lemures. Tutto è già accaduto, tutto è già stato vaneggiato. Come si lamentava Flaiano: ormai a Roma non succede mai niente. Tuttavia questa città mi ha concesso generosamente un percorso letterario, oltre che umano e tecnico, che mi ha accompagnato in tanti anni di indagini ambientali e reportage narrativi. Lungo dorsali di un legame ormai indissolubile. Prima di questa consapevolezza c’erano bolle finzionali, annegate nell’afa secca degli antenati. Deformate, bagnate di gocce al cloro. Un’entità metropolitana che ha reso possibile progetti ricchi di contenuti, attraverso scenari imprevedibili. Altrimenti persi nelle remote notti d’inverno. Ora le nostre strade non si dividono, ma si trasformano e si rinnovano come in una osmotica geografia sentimental
Sempre facendo riferimento al suo personale percorso di vita che la vede legato, a un tempo e in un mutuo dialogo, alla scrittura da un lato e all’ambiente dall’altro, travolgenti passioni che è riuscito a coniugare in modo così mirabile ed efficace, lei ha sviluppato nell’uso dei cinque sensi, quanto mai indispensabili e imprescindibili chiavi di volta per chi come lei scrive e osserva, una particolare predisposizione, attitudine e capacità nell’ascolto diventando Tecnico Competente in Acustica della Regione Lazio. Quanto è importante e che cosa significa per lei “ascoltare”?
Esiste un’archeologia dei suoni come esiste una narrazione degli odori, un ambito olfattivo e un pensiero acustico. C’è una scuola di odori, dove équipe di esperti sono allenati a riconoscere sostanze odorigene, difficilmente quantificabili con gli strumenti. Ed esiste una disciplina relativa all’inquinamento acustico e alle misurazioni sonore. M’immagino di percorrere una strada antica, una via consolare, come la via Appia: chiudendo gli occhi, è possibile ascoltare i suoni dei carri sul basolato, i rumori delle ruote sulla pietra lavica. Oppure le voci dei soldati in marcia di guerra, o ancora le emissioni sonore di un corteo funebre con i lamenti delle prefiche che cantano inni al defunto, accompagnate da strumenti musicali. Come il protagonista di Lisbon Story se ne va in giro per Lisbona a raccogliere suoni per poter collocare un’immagine al proprio posto, quasi a proteggerla, io ho cercato di restituire una voce ai fiumi del presente. Per ritrovare il senso di un filo storico ormai interrotto e compromesso. E forse percorrere, attraversare o semplicemente ascoltare l’acqua di un fiume stabilisce quell’esperienza archetipica che ricorda l’inconscio collettivo. Anche se non ascoltare più i suoni dei fiumi è ben più doloroso che raccontarli. Il fiume Melfa, nel sopralluogo che ho effettuato in primavera, non ha nessun suono, nessun rumore, nessun ribollimento. Semplicemente perché non c’è più acqua che scorre.
È da poco uscita per le Edizioni Intra Moenia la sua ultima fatica letteraria Guida ai Fiumi di Roma. Storia, paesaggi e percorsi tra le antiche vie dell’acqua, una sorta di manifesto e insieme di dichiarazione d’intenti nel nome dell’amore e della salvaguardia della Natura e dell’Ambiente che ci circonda, nello specifico il Tevere e i suoi affluenti. Di più, un compendio dalle molteplici valenze e chiavi di lettura essendo questo prezioso volume, che ha il significativo valore aggiunto di essere illustrato, a un tempo una guida, appunto, ma anche un saggio dal carattere storico, critico, documentaristico, un affascinante romanzo d’avventura dai personaggi più eterogenei e vari, e, ancora, un racconto a tratti fantastico e irreale, un’inchiesta, che in quanto tale riesce ad essere puntuale, attenta, severa e, per lunghi tratti, non potrebbe del resto essere diversamente, spietata. Come è nata l’esigenza di scrivere questo libro e quanto tempo ha impiegato per raccogliere una simile mole di storie, dati, notizie e informazioni? Quanto l’ha coinvolta emotivamente?
Guida ai fiumi di Roma e dintorni è un’opera che nasce molti anni fa, lungo un torrente trasformato in canale di scolo. Dovevo campionare quell’acqua per alcuni monitoraggi partecipati, perché era in corso un’indagine. Vapori incorporei si mischiavano con la nebbia mattutina. Nessuno aveva la più pallida idea, tanto meno io, che era stata catturata l’acqua del fiume sacro Numico, fiume mitologico destinato ad accogliere i profughi troiani con il Palladio, e a dare origine a una nuova civiltà. A distanza di molto tempo, da quel fatidico prelievo, poco è cambiato. Abbiamo raccolto dati, costruito depuratori, istituito in molti casi i Contratti di Fiume, cioè uno degli strumenti più importanti degli ultimi anni: un tentativo per promuovere politiche volte a consolidare comunità fluviali resilienti, riparando e mitigando, almeno in parte, le pressioni dovute a decenni di urbanizzazione sregolata. Ma per il Fosso di Pratica non c’è stato ancora nessuno strumento di tutela. Ogni tanto, nelle sue acque torbide, appare un guazzabuglio di sostanze odorigene, che si riversano direttamente sul luogo del mitico approdo. L’ultimo brano del torrente attraversa piccole attività commerciali, un aeroporto militare, palazzine abitative scolorite. Una volta era un sentiero sacro. Ai tempi di oggi dense esalazioni si alzano dalle sue acque. Ma non sono vapori legati a culti religiosi. Piuttosto sembrano pertinenti con qualche scarico abusivo. Benvenuti a Torvaianica, diceva un cartello. Fiume Numicus oggi fosso di Pratica di Mare. Qui approdò Enea.
Dalle (antiche) strade, di cui si è occupato in un recente saggio sulla Collatina Antica, alle (antiche) vie d’acqua il passaggio in realtà è breve essendo state queste ultime soprattutto nell’antichità fondamentali vie di trasporto e di comunicazione. Dall’antica Mesopotamia, all’antico Egitto a Roma le vie d’acqua hanno da sempre rappresentato il cuore nevralgico delle civiltà che le adoravano come divinità. E i corsi d’acqua con le loro portate, le loro energie e capacità di modellare e trasformare i territori che attraversavano sono da sempre stati i principali artefici dell’aspetto morfologico assunto nel tempo dalle terre attraversate. Questo almeno fino al fatale e distruttivo avvento dell’homo sapiens. Che cosa è rimasto oggi della struggente bellezza della campagna romana fonte di ispirazione per generazioni di scrittori, poeti, pittori, registi e attori?
Può sembrare paradossale, in un contesto così fortemente antropizzato, inquinato, devastato: eppure sono rimaste bellezze incredibili, attraversate dai corsi d’acqua narrati nel libro. Sono queste oasi e questi ecosistemi intatti che mi hanno spinto a documentare narrativamente i corsi d’acqua della Roma antica e dei suoi meravigliosi dintorni. Le province di Viterbo, Latina, Rieti e Frosinone svelano panorami ancora integri, da salvaguardare e tutelare, perché non soltanto ricchi di storia e cultura archeologica, ma perché consentono di mitigare le fonti d’inquinamento circostanti. Penso alle riserve naturalistiche nei pressi del fiume Arrone, ricche di biodiversità e fauna selvatica. O alla valle dell’Aniene, alle gole del Farfa, all’Agro Pontino. Ogni fiume ha una sua peculiarità, un suo essere ecosistema, oltre ad avere una storia millenaria. Infatti abbiamo cercato di inserire, al termine di ogni racconto fluviale, un itinerario possibile, per poter gustare e approfondire le ultime vestigia di paesaggi leggendari. Alcuni percorsi nascono dalla necessità di riscoprire quei dislivelli che ci hanno consentito di riflettere sull’ecologia degli spazi fluviali in termini di culture fra i popoli.
Il saggio ha la peculiarità di personalizzare quasi e caratterizzare ogni singolo corso d’acqua affluente minore del corso madre, il Tevere, legandolo a fatti storici, personaggi, caratteri peculiari, e non solo, lei propone in queste pagine itinerari differenziati in base alle differenti stagioni dell’anno. Perché questa particolare scelta e questa differenziazione?
Le acque di un fiume risplendono al luccicare dei coleotteri, si ghiacciano nella fredda stagione invernale, oppure vengono circondati dalle gialle foglie autunnali. È possibile una narrazione legata al ciclo naturale, al senso della natura più arcaica e profonda, che in qualche modo connota la dimensione di un fiume. Ma è possibile riconoscere anche un’altra entità legata a un corso d’acqua, che probabilmente ha a che fare con un genius loci quasi inspiegabile. Un sotto testo ci dice che a luglio morivano decine di vacche lungo il fiume Sacco, in un’estate torrida di tanti anni fa. Che in autunno i sicari di Antonio raggiungevano Cicerone: fu un giovane liberto, educato proprio dal politico romano nelle arti e nelle scienze, a rivelare che la lettiga veniva trasportata per i sentieri ombreggiati del bosco, nei pressi del fiume Astura. La ciclicità della natura sembra raccontarci, attraverso lo scorrere delle acque, un’altra versione della storia, una verità puntuale e per questo definitiva, consacrata per sempre a un determinato fiume.
Pensando al Gran Tour, che cosa resta oggi di quel mondo ancora incantato e di quella possibilità di visione? Siamo davvero noi gli ultimi epigoni, i distratti e maldestri testimoni di una bellezza tanto antica quanto irresistibile e fragile? Il punto di non ritorno è stato oltrepassato, che cosa resta dunque da fare?
Mi viene in mente il fiume Fibreno, che nasce nella provincia di Frosinone e confluisce nel fiume Liri: insieme ad altri affluenti, queste acque giungeranno nel territorio di Gaeta, nella provincia di Latina. Sembra essere una metafora perfetta di come attraverso un sistema idrografico complesso come quello laziale, è possibile veicolare messaggi di comunanza tra culture e solidarietà. In pochi termini, proteggere geografie ed ecosistemi: l’isola galleggiante del lago di Posta Fibreno era già ricordata da Plinio, e ancora oggi questa Riserva naturale ammalia e seduce il viaggiatore. Si tratta di una zona umida caratterizzata da porzioni di bosco igrofilo con una importante valenza geologica. Resiste nonostante tutto.
Quali sono i suoi programmi futuri?
Stiamo lavorando a un sinergico progetto di denuncia e svelamento di luoghi inspiegabilmente ostruiti. Non posso aggiungere altro: si tratta di un lavoro che coinvolge diverse discipline, medicina del lavoro, ambiente, storia, archeologia. Un percorso ibrido, che sembra avere a che fare direttamente con il nostro subconscio e le nostre metamorfosi più misteriose.
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Festa Patronale in onore di San Gaspare del Bufalo
Festa Patronale in onore di San Gaspare del Bufalo
Dal 6 al 9 giugno 2024 presso la Parrocchia San Gaspare del Bufalo a Roma, situata nel quartiere Tuscolano, si terrà la consueta festa patronale in onore di San Gaspare del Bufalo, fondatore della Congregazione dei Missionari del Preziosissimo Sangue. Il parroco, don Domenico D’Alia, evidenzia che «il desiderio da sette anni di voler celebrare la festa patronale, in onore di San Gaspare del Bufalo, diversa da quella onomastica che ricorre il 21 ottobre, ha come obiettivo quello di fare una festa di tutta la comunità che manifesti il patrocinio di San Gaspare sul popolo e che vada a concludere l’anno pastorale. Nessuna data poteva essere più consona come quella vicina al 12 giugno, giorno in cui ricorre l’anniversario di canonizzazione di San Gaspare del Bufalo, di cui quest’anno celebriamo i 70 anni (1954 – 2024). Si terrà un triduo di preparazione dal 6 all’8 giugno, alle ore 18:30, predicato da don Giacomo Manzo, Missionario del Preziosissimo Sangue e direttore di Primavera Missionaria, che metterà in correlazione le figure di San Gaspare del Bufalo e del prossimo Beato, il Venerabile don Giovanni Merlini. Inoltre, due grandi eventi accompagneranno questi giorni di festa: il primo, venerdì 7 giugno alle ore 20:45, con la VI rassegna Roma CoRossal, legato per la terza volta all’iniziativa della “Lunga Notte delle Chiese”, che vedrà coinvolte tre diverse realtà corali. Sabato 8 giugno, invece, vivremo la Festa dei Popoli che si svolgerà in oratorio alle ore 20:00. Tredici popoli ci faranno degustare i loro piatti tipici all’insegna della solidarietà e dell’integrazione sociale. Infine, domenica 9 giugno, alle ore 19:00, avremo la Solenne Concelebrazione Eucaristica presieduta dall’arcivescovo Mons. Emilio Nappa, Presidente delle Pontificie Opere Missionarie. Al termine della celebrazione, si terrà la processione con la statua di San Gaspare per le vie del quartiere di Arco di Travertino».
Claudio Silvestri, direttore del Coro DecimaQuinta, condivide che «la rassegna corale, ormai giunta alla VI edizione, è nata e cresciuta insieme con il nostro Coro proprio nella Parrocchia San Gaspare del Bufalo, diventando così un punto di incontro tra le diverse realtà corali. Il concerto, in programma per venerdì 07 giugno alle ore 20:45, si inserisce all’interno della “Lunga Notte delle Chiese” che si svolge ormai da diversi anni. Il tema di quest’anno è “Trovami” e dà una risposta in qualche modo alla domanda dello scorso anno, la cui tematica era “Dove sei?”».
«Il concerto – evidenzia il M° Silvestri – è realizzato in collaborazione con il gruppo missionario “Opere di San Gaspare” a sostegno dei progetti in Africa di Fondazione Primavera Missionaria, che verranno illustrati nella serata anche ascoltando testimonianze dirette. Alla rassegna corale parteciperanno gli amici del Coro Giovanni Pierluigi da Palestrina, diretti dal Maestro Vinicio Lulli e, da quest’anno, anche il JC Choir, diretto dal Maestro Stefano Natale, Coro proveniente dal quartiere Centocelle di Roma della John Coltrane Music School».
Roma, 06/06/2024
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Giovedì 13 giugno alle ore 18.00 presso la Biblioteca Casa del Parco in Via della Pineta Sacchetti, 78 a Roma presentazione della nuova silloge di racconti di Rossella Monaco “Super Cavie. Racconti satirici di Transumanesimo e ‘Pornodistopia’” edita per i tipi di Cultura e dintorni Editore.
Giovedì 13 giugno alle ore 18.00 presso la Biblioteca Casa del Parco in Via della Pineta Sacchetti, 78 a Roma presentazione della nuova silloge di racconti di Rossella Monaco Super Cavie. Racconti satirici di Transumanesimo e “Pornodistopia” edita per i tipi di Cultura e dintorni Editore. Con l’autrice interverranno il critico letterario Marco Ghitarrari e l’attore Eros Salonia.
Tra uomini cavie, robotizzati, microcippati, aberrazione ed estremizzazione di una realtà sempre più virtuale, mediata e aumentata, un viaggio tanto straniante quanto perturbante in un presente, quanto mai prossimo venturo, ambientato in un mondo distopico abitato da un’umanità sempre più disumanizzata. Tra una sana satira e un’irresistibile quanto feroce ironia.
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Giochi, simboli e allegorie. L’arte di Lucilla Trombadori è una favola senza un perché
Giochi, simboli e allegorie.
L’arte di Lucilla Trombadori è una favola senza un perché
di Ginevra Amadio
Una favola senza un perché è il titolo della personale di Lucilla Trombadori (Roma, 1948) ospitata dal 15 al 31 maggio scorso presso la Fondazione Marco Besso di Roma. Un titolo evocativo, impalpabile, che tuttavia sottende la forza di un’idea, l’incertezza come agente di rottura contro la supposta linearità del pensiero, dell’atto creativo nella sua forma più pura. L’arte, con la sua carica sovvertitrice, ricerca – e inventa – una misura per deflagrare, per corrodere i formati, le pratiche di costruzione sociale. Così la pittura di Trombadori, che è un concentrato di umori, inversioni, giochi finalizzati alla decostruzione del reale. Le opere esposte – campioni di un simbolismo che attinge alle tradizioni più disparate, tutte egualmente raffinate – sviluppano la dicotomia affermazione/negazione e ne mettono ‘in scena’ gli scarti, le incertezze, il muoversi in bilico tra denuncia e omissione. Anche i confini si allargano, cedono, svelando la fallacia della normatività: non un’immagine univoca, un repertorio visivo in qualche modo incasellabile, bensì un mescolarsi di spunti, di idee, come un magma ribollente in cui giacciono i segni di una nuova dimensione. Linee tratteggi, campiture decise, ogni scelta contribuisce a tracciare un quadro surreale – o meglio, surrealista – in cui gli elementi, talvolta giustapposti, abbracciano il nonsense, come a evocare Leonora Carrington e Walter Benjamin, Alberto Savinio ed Henri Bergson. Difficile dirimere il nodo tra sogno e realtà. Tutto è traslato, slegato, un progetto condotto nel solco della norma al fine di svuotarne il valore, come a voler uscire dai ranghi per enunciare una ‘verità’, la propria idea di reale che è altro dal visibile secondo l’accezione saviniana della metafisica: non ricerca di un aldilà delle cose, di un mondo dietro il mondo, ma penetrazione nella loro essenza, capacità di coglierle con uno sguardo inedito. In questa prospettiva, le donne senza volto di Trombadori ricordano i manichini e le rovine dei fratelli De Chirico, le figure anfibie – tutte femminili – di Remedios Varo e Leonor Fini, i giochi infantili dell’avanguardia dada. Nel raffinato impasto di simbologie spirituali e artistiche, letterarie e religiose, si sviluppa una riflessione sul linguaggio che è anche tentativo di rivelare ciò che l’oralità nasconde nel momento in cui gli uomini narrano, mentono, manipolano. L’arte di Lucilla Trombadori, invita così a scrutare i lapsus, gli indici che dimostrano che è oltre il ‘dicibile’ che sta il senso ultimo delle cose, quel sentimento di autenticità che alberga nelle pause, nei frammenti di un discorso altro.
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Tonino Guerra, il poeta del cinema e dei sogni. L’appello “Una poltrona per Tonino Guerra”
Tonino Guerra, il poeta del cinema e dei sogni
di Anna Maria Geraci
Un grido al mondo
La nostra preoccupazione per gli altri
ha finestre medioevali, così dalle nostre bocche
escono soltanto piccole parole che cadono
sui piedi come chiodi arrugginiti.
Dobbiamo gridare parole grandi
che valgano per tutti e siano piene d’acqua buona
per le popolazioni, gli animali e le piante
assetate, che diano movimento alle braccia ferme
e senza gesti di mestieri, che siano cariche
di attenzione per l’infanzia disperata:
INSOMMA che non siano parole per questo uomo
o per l’altro, né per questa pelle o l’altra,
siano per l’umanità così da creare un grande
SOGNO COLLETTIVO.
[Pennabilli, 1° maggio 2000, Tonino Guerra].
Tonino Guerra (1920 – 2012 Santarcangelo di Romagna) è stato uno scrittore, poeta e sceneggiatore italiano, con più di centoventi film alle spalle. Ma anche attivista, artista, ma soprattutto aedo, un narratore, un autore dalla penna delicata, amante della natura, delle tradizioni contadine e difensore delle bellezze del creato.
Nato a Santarcangelo di Romagna, vicino Rimini, Guerra ha collaborato con tutti i più grandi nomi dello spettacolo e del cinema nazionale e internazionale, fra cui Michelangelo Antonioni, Federico Fellini, Andrej Tarkovskij, Mario Monicelli, Theo Angelopoulos e Wim Wenders. Ha scritto versi indimenticabili e film che sono pietre miliari della cinematografia nazionale ed internazionale come Matrimonio all’italiana (De Sica, 1964), Amarcord (scritto insieme a Federico Fellini, 1975), Blow-Up (Antonioni, 1968), Nostalghia (Tarkovskij, 1980) e moltissimi altri.
Guerra: «È bello sottolineare come, in fin dei conti, la grande quantità di registi con cui ho lavorato prendevano brandelli di me e questi brandelli nascevano sempre dalla poesia, quindi non è da dire che in modo totale io potevo stare, per esempio, accanto alle storie di Rosi ma potevo regalargli quel passo alto che hanno le persone che camminano a cinquanta centimetri da terra». [Fasanotti P. M., Tra il Po, il monte e la marina: I romagnoli da Artusi a Fellini, coll. Il cammello Battriano, Neri Pozza, Vicenza, 2017, p. 267].
Eppure, forse la maggior parte del grande pubblico italiano ricorda il nome di Tonino Guerra soltanto per un celebre spot dell’Unieuro dei primi Duemila, dove il maestro recitava l’arcinota frase, ormai vero e proprio mantra: «Gianni, l’ottimismo è il profumo della vita!». Infatti, fra i suoi molti lavori e progetti, ha lavorato anche per la tv, in particolare per lo sceneggiato Storie dell’anno mille (1971), portato sul piccolo schermo, insieme a Luigi Malerba e Franco Indovina, con Carmelo Bene come protagonista, in un divertentissimo medioevo che strizza l’occhio a L’armata Brancaleone (1966). La saga di Millemosche, scritta con Luigi Malerba (Bompiani) è solo uno dei moltissimi racconti che possiedono la sua firma. Fra gli altri, quello più celebre è sicuramente L’aquilone, scritto con Michelangelo Antonioni (Maggioli, 1982). Ma le opere di successo di Guerra sono numerosissime, soprattutto quelle scritte in dialetto, come: I bu (Rizzoli, 1972), Il polverone (Bompiani, 1978), Il Miele (Maggioli, 1981) e Piove sul diluvio (Capitani, 1997).
Il suo amore per le parole ha radici lontane. Durante gli anni della Seconda guerra mondiale, mentre Guerra era studente, viene catturato e deportato al campo di lavoro di Troisdorf, in Germania (1945) e, per tenere compagnia agli altri prigionieri, inventava poesie e racconti. Come la lirica La farfalla, scritta in dialetto santarcangiolese (Rimini), suo paese natio, un animale simbolo di bellezza e libertà che accompagnerà il poeta per tutta la vita in racconti, dipinti e sculture.
La farfàla
Cuntént própri cuntént
a sò stè una masa ad vólti tla vóita
mó piò di tótt quant ch’i m’a liberè
in Germania
ch’a m sò mèss a guardè una farfàla
sénza la vòia ad magnèla.
La farfalla
Contento proprio contento
sono stato molte volte nella vita
ma più di tutte quando mi hanno liberato
in Germania
che mi sono messo a guardare una farfalla
senza la voglia di mangiarla.
Dopo la traumatica esperienza inizia a scrivere e pubblicare i suoi lavori, poi i trasferisce a Roma per cercare successo. Dopo un decennio di ristrettezza economiche, finalmente la svolta di carriera negli anni Sessanta, con una serie nutritissima di premi e riconoscimenti da tutto il mondo. Fra questi citiamo: un Premio Oscar al miglior film straniero per Amarcord (1975, scritto insieme a Fellini); quattro David di Donatello (1981: Tre fratelli di Francesco Rosi, 1984: E la nave va di Federico Fellini, 1985: Kaos dei fratelli Taviani, 2010: David di Donatello alla carriera) e cinque Nastri d’Argento alla miglior sceneggiatura (1963: I giorni contati di Elio Petri, 1974: Amarcord di Federico Fellini, 1983: La notte di San Lorenzo dei fratelli Taviani, 1985: Kaos dei fratelli Taviani, 1991: Il male oscuro di Mario Monicelli).
«La crisi dell’individuo di Guerra, malinconico e speranzoso, parte dalle radici del neorealismo e attraversa ogni genere, dalla commedia al cinema d’autore, passando, con disinvoltura, dai film di denuncia politica e impegno civico ai cartoni animati e le pubblicità dei primi anni Duemila. La formula del suo successo è semplice e autentica: la poesia, le immagini come simboli, la lentezza dei movimenti, la tenerezza per la terra, per ogni essere vivente e l’importanza del sogno. “Un confessore laico, un interlocutore evidentemente indispensabile a stimolare l’immaginario dei grandi visionari del cinema europeo”: così il critico e collega Cosulich sintetizza l’operato di Guerra in campo cinematografico». [Geraci A. M., Mangiare una farfalla: cinema e poesia di Tonino Guerra, Il Ponte Vecchio, Città di Castello, 2024, p. 90].
I maggiori riconoscimenti vengono però dalla Russia, sua patria d’adozione, dove conoscerà la sua musa, traduttrice, e poi moglie, Eleonora Kreindlina (Lora Guerra).
Tonino Guerra: «[…] La Russia è una terra che mi ha dato moltissimo, mi ha regalato il modo di capire e di inventare le cose. Mi ha riportato a dipingere, cosa che facevo da ragazzo. Mi ha fatto sentire la grande musica che non stava nelle mie orecchie. […] Mi ha ridato quel mondo in bianco e nero che io conservo nella memoria». [Guerra T., in Giannini R., Tonino Guerra – Il sorriso della terra, coll. I semi – I protagonisti delle culture materiali, Veronelli Editore, Bergamo, 2006, pp. 46-46].
Con lei, dopo il successo degli anni romani, negli anni Ottanta, ritorna prima a Santarcangelo, e poi si trasferisce a Pennabilli, nel Montefeltro, vicino San Marino. E ancora oggi, proprio Lora, dalla casa museo di Pennabilli, chiamata La casa dei mandorli, cura, custodisce e promuove la memoria di questo grande personaggio contemporaneo. «Bisogna creare luoghi per fermare la nostra fretta e aspettare l’anima» scriveva Tonino. Oltre Pennabilli, con il suo museo diffuso I luoghi dell’anima, altre località della zona vantano una chiara impronta guerriana, come ad esempio: Santarcangelo di Romagna, Cervia, Petrella Guidi, Riccione, Sant’Agata Feltria, Rimini e Ravenna, con una nutrita serie di fontane, installazioni, musei, targhe e altre opere d’arte collegate al pensiero ecologista, alla tutela della memoria contadina e della bellezza del passato.
Si fa notte presto
Adesso sto sempre in casa
e sposto carte o guardo
oltre i vetri della finestra
le mandorle secche attaccate ai rami
che arrivano fino quassù
e sembrano pendagli alle orecchie
di gente che non c’è più.
O sto seduto su una sedia
vicino al camino
e si fa notte presto
con la luce che cade dietro le montagne
e io vado a letto con la voglia di sognare
i giorni che nevicava a Mosca,
e io ero innamorato.
Oggi, a curare la sua memoria è l’Associazione Tonino Guerra, che promuove e gestisce periodicamente numerose iniziative, e il gruppo Facebook Tonino Guerra Per Sempre. Questo gruppo, recentemente, ha lanciato l’appello “Una poltrona per Tonino” e la raccolta firme per intitolargli una poltrona al Cinema Modernissimo di Bologna. Ecco la lettera:
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TORPIGNA WORLD KIDS FESTIVAL Rassegna di teatro per piccoli e grandi spettatori ponte tra generazioni, occasione di confronto per stimolare fantasia e riflessione
TORPIGNA WORLD KIDS FESTIVAL
Rassegna di teatro per piccoli e grandi spettatori
ponte tra generazioni, occasione di confronto
per stimolare fantasia e riflessione
FORTEZZA EST 30 MAGGIO – 16 GIUGNO 2024
via Francesco Laparelli, 62 Roma – Tor Pignattara
Al via la prima edizione di TORPIGNA WORLD KIDS FESTIVAL, rassegna teatrale gratuita dedicata ai piccoli spettatori e le loro famiglie, un viaggio unico attraverso lo spettacolo dal vivo per creare legami, scambiare storie ed emozioni, in scena dal 30 maggio al 16 giugno sul palco di Fortezza Est.
Una prima edizione ricca di spettacoli, che pone lo strumento teatrale come veicolo di integrazione, comunione, scambio interculturale per la creazione dal basso di nuovo pubblico, attraverso uno spazio condiviso e dedicato, dove fermarsi, incontrarsi e riflettere, dove sentirsi protagonisti nel mondo reale e avere la possibilità di confrontarsi dal vivo attraverso una storia.
Il Teatro offre la possibilità di decifrare il presente attraverso storie universali, è un momento di riflessione fondamentale e importante da preservare e coltivare per la crescita sociale. Le nuove generazioni hanno perso la dimestichezza con questa forma d’arte, filtrando il presente attraverso la velocità, l’immediatezza l’ impalpabilità dei social. TORPIGNA WORLD KIDS FESTIVAL offre questa opportunità attraverso un festival gratuito totalmente dedicato ai ragazzi e le loro famiglie.
In scena sei spettacoli in tre settimane di programmazione dal giovedì alla domenica. In ogni appuntamento dopo la visione dello spettacolo, il pubblico avrà la possibilità di fermarsi per un incontro-dibattito con gli attori e autori, un talk per confrontarsi e porre domande e curiosità, un’effettiva occasione di discussione pensata per stimolare ulteriormente idee e pensiero attivo.
Primo appuntamento giovedì 30 e venerdì 31 maggio (ore 18:00) con LA LIRICA PER TUTTI della compagnia “Tre Barba” che propongono un lavoro sull’opera lirica, riproponendo in chiave moderna e divertente le più belle scene dell’opera della tradizione lirica, un viaggio tra le più grandi arie tutte in chiave pop e rigorosamente “a cappella” , da così fan tutte a Rigoletto, da Don Giovanni al Barbiere di Siviglia.
Sabato 1 e domenica 2 giugno (ore 11:00) in scena 20.000 MONDI SOTTO AL MARE un racconto liberamente tratto dal romanzo di Jules Verne che intende sensibilizzare all’importanza della cura del mare, un percorso di consapevolezza su questa inestimabile risorsa e l’importanza di preservarla. In scena Alessandro Di Somma, Eleonora Turco, Giuseppe Mortelliti, Gioele Rotini.
Giovedì 6 e venerdì 7 giugno (ore 18:00) sarà la volta di PROMETEO di e con Francesco Picciotti. Sulla scena un burattinaio-narratore-artigiano da’ voce a tutti i protagonisti del racconto: dalla luminosa Afrodite, al temibile Ares, all’operoso Efesto, fino al più grande di tutti, Zeus, che incarica suo cugino Prometeo di popolare la terra, i cieli e i mari con esseri di tutti i generi.
Liberamente ispirato alla filastrocca “Girotondo di tutto il mondo” di Gianni Rodari FAVOLE INTORNO AL MONDO in scena sabato 8 e domenica 9 giugno (ore 11:00) spettacolo nato da un lavoro di scrittura collettiva sul tema della favola come gioco e come strumento di comunicazione multiculturale e senza tempo, e utilizza tecniche di teatro d’attore e di figura. In scena Alessia D’Anna e Diego Valentino Venditti diretti da Riccardo Sinibaldi,
Giovedì 13 e venerdì 14 giugno (ore 18:00) in scena LO STRANO CASO DEI TRE PORCELLINI di e con Marco Ceccotti e Simona Oppedisano che racconteranno la storia del Detective privato Walter Appesca che risolve i problemi delle fiabe. Un giorno giunge nel suo ufficio una richiesta d’aiuto dai Tre Porcellini. Il Detective Walter Appesca deve per forza intervenire il prima possibile, altrimenti i tre fratellini diventeranno un pasto per l’affamato lupaccio e addio Fiaba.
Ultimo appuntamento con LIBRANDIA LA CITTA’ DI CARTA sabato 15 e domenica 16 giugno (ore 11:00) un’avventura avvincente e grottesca dove il “libro” è l’oggetto mitico e simbolico, il protagonista assoluto. La protagonista, Ildefonsa de Sventramitis, si perde nell’universo di Librandia, fino a sprofondare nelle sue catacombe, dove inconterà la misteriosa Regina delle Ombre. In scena Carlotta Piraino, Alessandro Di Somma, Eleonora Turco.
Il progetto, promosso da Roma Capitale – Assessorato alla Cultura, è vincitore dell’Avviso Pubblico, curato dal Dipartimento Attività Culturali, per il reperimento di progetti per la concessione di contributi destinati a sale teatrali private con capienza inferiore a 100 posti, per progetti di ricerca e sperimentazione per la Stagione 2023/2024.
Come raggiungerci: Metro A Arco di Travertino e 409 oppure Metro A termini e 105 o Trenino Laziali Oppure Metro C Malatesta e 10 minuti a piedi.
TORPIGNA WORLD KIDS FESTIVAL
30 maggio – 16 giugno 2024
via Francesco Laparelli, 62 Roma – Tor Pignattara
Orario Spettacoli
giov- ven ore 18:00 – sab-dom ore 11:00
INGRESSO GRATUITO – Prenotazione Obbligatoria
info e prenotazioni mail prenotazionifortezzaest@gmail.com
| whatsapp 329.8027943| 349.4356219
Ufficio Stampa: Eleonora Turco eleonoraturco.press@gmail.com 329.80.279.43
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Don Giovanni Merlini sarà Beato! Riconosciuto il Miracolo per intercessione di don Giovanni Merlini, III° moderatore generale della Congregazione dei Missionari del Preziosissimo Sangue
Don Giovanni Merlini sarà Beato!
Riconosciuto il Miracolo per intercessione di don Giovanni Merlini,
III° moderatore generale della Congregazione dei Missionari del Preziosissimo Sangue
Oggi, 23 maggio 2024, il Santo Padre Francesco ha autorizzato il Dicastero delle Cause dei Santi a promulgare il Decreto riguardante il Miracolo attribuito all’intercessione del Venerabile Servo di Dio Giovanni Merlini, Sacerdote e Missionario del Preziosissimo Sangue (Spoleto 28 agosto 1795 – Roma 12 gennaio 1873).
La Congregazione dei Missionari del Preziosissimo Sangue, unita alla Congregazione delle Adoratrici del Sangue di Cristo, e alle Chiese particolari, dove la Famiglia del Preziosissimo Sangue è presente in Italia e nel mondo e in comunione con i Movimenti Laicali, ispirati alla spiritualità del Sangue di Cristo, “rende grazie a Dio” per il dono ricevuto, mentre con cuore orante condivide il comune auspicio che si possa presto celebrare la Beatificazione del Venerabile Servo di Dio Giovanni Merlini.
«Con affetto filiale ed esultanza» – afferma don Emanuele Lupi, moderatore generale della Congregazione dei Missionari del Preziosissimo Sangue – «in unità, rivolgiamo al Santo Padre Francesco sentimenti di profonda gratitudine per aver arricchito la Chiesa Universale di un nuovo Beato, uomo di sapienza e di discernimento, operatore di riconciliazione e di pace, missionario della misericordia, testimone del mistero del Sangue Prezioso di Cristo. Per la nostra Congregazione, don Giovanni Merlini è una figura di riferimento, un esempio in cui possiamo trovare l’immagine di Dio, perché in fondo sappiamo che abbiamo bisogno dei santi, di esempi concreti di uomini e donne che ci ricordano la presenza di Dio nel mondo e nel quotidiano della nostra vita».
Nicla Spezzati, Adoratrice del Sangue di Cristo e Postulatrice della Causa, evidenzia: «Il Postulatore, che avanza nel cammino ecclesiale definito Causa o Processo di Beatificazione e canonizzazione di un Servo di Dio, viene definito, popolarmente, l’avvocato del Santo. L’avvocato dovrà “sapere di Legge”, ma più, deve conoscere profondamente la persona che gli si affida, di cui si fa garante, presentandola, nel nostro caso, come identità piena di Vangelo, appunto “Beata”, alla Chiesa universale, al fedele e santo popolo di Dio, ai credenti e ai distanti. Come era questo sacerdote e missionario, che ha attraversato negli Stati della Chiesa (1785 al 1873) una temperie storica non facile, dalla Repubblica Romana ai moti risorgimentali, con il brigantaggio postnapoleonico, la caduta del potere temporale del Papa, la presa di Roma, l’unità d’Italia? Univa in se stesso i contrari in una ammirabile sintesi. Uomo dai mille talenti: esuberante e riflessivo, metodico e artista, puntuale, preciso, ma con una apertura di mente e di cuore su un orizzonte vasto. Un uomo in carne ed ossa dal tratto democratico e amico, coerente con i principi professati, inflessibile nell’esigere da se stesso più che dagli altri, indulgente nel comprendere gli altri più che se stesso. Un uomo chiaro, restio ai compromessi, assorto nella preghiera fino ad estraniarsi dalla realtà, ma così inserito nella realtà da presumere di renderla tutta una preghiera. Capace di dirigere grandi opere o semplicemente di porsi sulla strada, a distribuire acqua fresca da una fonte ai contadini ciociari, che tornavano al tramonto dalla fatica dei campi. Consigliere stimato di Papa Pio IX e, insieme, missionario tra i “briganti” della campagna romana cui si faceva prossimo di misericordia e operatore di pace. Uomo appassionato dell’umanità quotidiana, convinto che ogni debolezza e fragilità può essere portata a vita, nell’incontro con il Cristo del Vangelo. Giovanni Merlini, riposa in Roma nella Chiesa dei Crociferi, a Fontana di Trevi, accanto al suo Padre e Maestro, S. Gaspare del Bufalo, sacerdote romano. Sono sicura che questo nuovo Beato, dai confusi e grigi frammenti del quotidiano, ci inviti, oggi, a edificare l’ordine dell’Amore che genera».
Roma, 23/05/2024
Don Giovanni Merlini nasce a Spoleto il 28 agosto del 1795 da Luigi Merlini e Antonia Claudia Arcangeli. Dopo essere stato ordinato sacerdote per la diocesi di Spoleto, il 19 dicembre 1818, in occasione di un corso di esercizi spirituali presso l’Abbazia di San Felice, a Giano dell’Umbria (PG), conobbe nel 1820 San Gaspare del Bufalo, fondatore della Congregazione dei Missionari del Preziosissimo Sangue. L’incontro tra questi due giganti della fede cambierà le vite di entrambi. Gaspare diverrà per Giovanni padre e modello di ispirazione, tanto da convincerlo ad entrare nella Congregazione, il 15 agosto 1820, e a divenirne uno dei fiori all’occhiello.
Come nel carisma della Congregazione, don Giovanni non sarà solamente un intrepido annunciatore del vangelo per mezzo delle missioni popolari, ma anche e soprattutto una eccellente guida spirituale. Non si può non ricordare la capacità straordinaria che ebbe di intenerire i cuori dei briganti nel basso Lazio, che a lui si rivolsero per chiedere grazia presso il Papa, nel lontano 1824. Tra i frutti più belli della sua sapiente guida risplende nella Chiesa Santa Maria De Mattias che, nel 1834, con il suo paterno aiuto, fonderà le Adoratrici del Sangue di Cristo.
Don Giovanni è stato un uomo dalle molteplici capacità e ha saputo intessere la sua vita a riflesso di quella di Cristo, incastonato, come una gemma preziosa, tra due grandi santi fondatori. Ma la sua peculiarità e quell’unicità che lo fecero brillare vennero fuori soprattutto dal 1847, quando succedette a San Gaspare del Bufalo come moderatore generale della sua Congregazione. Don Giovanni Merlini diede spazio, da quegli anni in poi, al genio che il Signore gli aveva donato per il bene del Regno di Dio. Seppe sognare in grande per entrambe le Congregazioni religiose, fino a spingersi ad aperture all’estero. Continuò ad essere ricercata ed illuminata guida di anime, tanto da divenire consigliere del Beato Pio IX, dal quale ottenne l’estensione della festa del Preziosissimo Sangue a tutta la Chiesa, con la bolla “Redempti sumus” del 10 agosto 1849.
Anni di lavoro e consiglio, di preghiera innamorata ma anche di spiccate qualità artistiche, gli guadagnarono il titolo di “santo dei crociferi”, dal nome della piazza in cui risiedeva allora la curia generalizia dei Missionari del Preziosissimo Sangue. Ed è proprio da quella stessa casa, accanto alla fontana di Trevi in Roma, che don Giovanni volò al cielo il 12 gennaio del 1873, a seguito di un brutto incidente provocatogli da un anticlericale in carrozza. E ancora oggi, da quella chiesa di Santa Maria in Trivio, dove è sepolto accanto al suo santo padre Gaspare del Bufalo, continua ad intercedere e ad essere invocato dai missionari, dalle adoratrici e da tanti fedeli, soprattutto giovani, che chiedono a lui consiglio e preghiera. Sembra davvero che la fila di gente fuori dal suo ufficio non si sia mai esaurita, e che lui continui ancora, ora come allora, ad aspettare tante anime da guidare ed accompagnare, e soprattutto a ricordarsi di loro alla presenza del Signore Gesù.
Il 10 maggio 1973 vengono riconosciute le virtù eroiche e il 23 maggio 2024 il Santo Padre Francesco ha autorizzato il Dicastero delle Cause dei Santi a promulgare il Decreto riguardante il Miracolo di guarigione di un beneventano, da un ematoma retroperitoneale, attribuito all’intercessione del Venerabile Servo di Dio Giovanni Merlini.
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In stampa per i tipi di Cultura e dintorni Editore nella collana “I narratori del Nostro Tempo” la silloge di racconti di Rossella Monaco “Super Cavie. Racconti satirici di Transumanesimo e ‘Pornodistopia’”
In stampa per i tipi di Cultura e dintorni Editore nella collana “I narratori del Nostro Tempo” la silloge di racconti di Rossella Monaco Super Cavie. Racconti satirici di Transumanesimo e “Pornodistopia”. Tra uomini cavie, robotizzati, microcippati, aberazzione ed estremizzazione di una realtà sempre più virtuale, mediata e aumentata, un viaggio tanto straniante quanto perturbante in un presente, quanto mai prossimo venturo, ambientato in un mondo distopico abitato da un’umanità sempre più disumanizzata. Tra una sana satira e una feroce ironia. Disponibile dalla prima settimana di giugno.
Per ulteriori info scrivere a: redazione@culturaedintorni.it
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