Tra le luci e le ombre “dell’altra metà della vita”. Intervista ad Andrea Mattioli

Tra le luci e le ombre dell’altra metà della vita  

Intervista ad Andrea Mattioli 

a cura di Luca Carbonara

Che cosa ha significato per lei, dal punto di vista più personale, e per il suo percorso di vita studiare in un prestigioso Conservatorio e acquisire, a un tempo, una forma mentis e una cultura, una formazione musicale? Che strumenti può offrire oggi la musica nell’interazione e interpretazione della realtà? 

Andrea Mattioli

Grazie mille per la domanda. Studiare in un Conservatorio ha avuto un impatto profondo sulla mia vita, non solo in termini di formazione musicale, ma anche per la forma mentis che questo percorso mi ha aiutato a sviluppare. La disciplina musicale, infatti, mi ha insegnato a pensare in modo sfaccettato, a “ragionare su più livelli” e ad avere una visione d’insieme, invece di limitarmi a un solo punto di vista, anche se non sono riuscito a ottenere il diploma finale. L’armonia, per esempio, è il risultato di una combinazione di strumenti e note diverse che dialogano tra loro, e questo principio riflette molto bene il mondo complesso in cui viviamo oggi. Per molte persone, la musica non si trasforma necessariamente in un lavoro, a causa degli alti livelli di competenza richiesti. Tuttavia, anche solo come percorso di studio, la musica offre strumenti preziosi per interpretare la realtà: ci aiuta a sviluppare flessibilità mentale, attenzione ai dettagli e capacità di ascolto, qualità essenziali anche al di fuori dell’ambito musicale. Per quanto riguarda il valore della cultura, è vero che, in un certo senso, essa “non serve a niente,” e proprio per questo non è serva di nessuno. 

Da Clio, la musa del canto epico, a Euterpe, la musa della poesia lirica, la Musica è la regina delle arti che imbeve della propria essenza e del proprio spirito ogni attimo della nostra vita che non potrebbe esistere senza di essa. Come è nata in lei la passione per la scrittura e quanto in questa ha trasfuso dei suoi studi di composizione? Che differenza c’è, in primis a livello di ispirazione, tra scrivere e suonare? 

La passione per la scrittura è nata quasi in parallelo a quella per la musica, che ho coltivato fin da bambino, e si è intensificata durante l’adolescenza, anche grazie a un interesse quasi “ossessivo” per la filosofia. Ho iniziato a scrivere racconti a sedici anni, vedendo nella scrittura uno strumento per raccontare il reale, ciò che spesso percepivo ma che sembrava quasi “tabù” affrontare apertamente. Nei miei primi romanzi, la musica e la letteratura si intrecciavano, mentre oggi la scrittura ha preso il sopravvento. La scrittura mi ha sempre dato un impulso irrequieto, uno sfogo impulsivo, mentre la musica era il contraltare, una ricerca di bellezza. Diciamo che ho bisogno di entrambi: nella musica trovo serenità, nella scrittura cerco di esplorare e raccontare ciò di cui la gente non vuole parlare, ma che mi sento il dovere di esprimere. 

La cover del romanzo di Andrea Mattioli

Nel suo ultimo romanzo L’altra metà della vita, edito da BookRoad come i tre precedenti La sinfonia proibita (2019) e L’antica profezia (2021) e Lui (2022), lei sembra, già dal titolo, “giocare” sul dualismo, sulla dicotomia, sull’antinomia, sull’antitesi, di visione e di sentimento, della vita stessa, dimidiata tra bene e male, luci e ombre, e, dunque, tra canto e controcanto. E, ancora, sul rompersi, sullo spezzarsi di un’armonia, elemento ancora una volta essenziale della musica, di un percorso di vita che sarà diverso, opposto per i due protagonisti Luca e Simone sin dallo loro più tenera età: improvvisamente traumatico per l’uno, all’età di otto anni, lineare e “normale” per l’altro. Che cosa vuole dirci questa storia che vede improvvisamente e crudelmente divaricarsi il destino di due ragazzi dalle vite fino a quel momento tranquille e caratterizzate per lo più da spericolate e spensierate corse in bicicletta nella nativa città di T.? 

La storia vuole comunicare il non giudizio e il fatto che spesso ci troviamo a vivere vite e fare scelte che non abbiamo vogliamo, né possiamo prendercene la responsabilità. Luca, come Edipo, è condannato a un destino avverso, dal quale fin da subito cerca di districarsi, di risorgere, di combattere, pur sapendo che la sua sconfitta è inevitabile. Simone, invece, è una vita che cade in una dinamica senza colpe, come tutti i personaggi del romanzo. L’abuso sessuale ai danni di Luca costringe tutti intorno a lui a “subire” una vita che non avrebbero mai voluto vivere. È una lotta per la vita, un’agonia di sopravvivenza: i personaggi non vivono, ma sopravvivono, sempre destinati alla tragedia. Simone cerca riscatto nella fuga, Luca cede alla rabbia e si trasforma in carnefice. Entrambi diventano “gli ultimi” a cui è dedicato il romanzo, rappresentando tutti coloro che combattono battaglie pur sapendo di partire già sconfitti. È un continuo inseguire ciò che manca. Non avendo gli strumenti emotivi per superare l’abuso subito da Luca, tutti i personaggi cercano nelle altre vite la soluzione ai propri vuoti. In questo inseguire senza fine, si riflette un po’ l’angoscia di Kierkegaard, che perseguita queste esistenze: la consapevolezza di non poter mai colmare veramente il proprio vuoto, e di restare intrappolati in un circolo di sofferenza e ricerca infinita. 

La violenza, l’abuso subito da Luca ancora in tenera età da un ragazzo più grande, ancora una contrapposizione, darà il La alla calata del sipario, al sopraggiungere delle ombre e al prevalere del silenzio figlio dello shock che non a caso prevarrà e porterà Luca a nascondere il suo dolore e a nascondersi a e dagli altri suoi coetanei i quali, Simone compreso, lo dileggeranno e faranno oggetto di bullismo. Rimasto solo sarà per lui una caduta agli inferi che lo renderà preda dei più oscuri demoni e vittima della droga che lo porterà a un passo dalla morte. Il riscatto e la rinascita arriveranno proprio quando, da solo, riuscirà a rompere quella gabbia di silenzio e di dolore e ad andare in terapia grazie alla quale troverà la forza di denunciare l’abuso che tutto e tutti sconvolgerà. Cos’è che prima divide, rompendo drammaticamente l’armonia, e poi unisce i destini degli uomini? 

Da bambini, siamo inevitabilmente portati all’imitazione, soprattutto dei genitori, e spesso lo viviamo come un gioco. Luca, nella sua sofferenza, non ha mai potuto raccontare nulla, sapendo che non sarebbe stato compreso o, peggio, deriso. Ma quali strumenti hanno i bambini, e poi gli adolescenti, se per tutto quel tempo di “gioco” vedono solo giudizi sul diverso o l’insegnamento della sopraffazione sugli altri? Quali scelte restano loro, se crescono dentro questi modelli? Cos’è che livella e riporta tutto a una somma zero? La morte, o meglio, la paura della morte. L’overdose, la denuncia che ne è seguita, il funerale della madre di Luca, l’ictus: sono le soluzioni che la vita offre per ritornare a questa drammatica armonia. Solo attraverso la paura e il lutto, che si trasformano in sofferenza, si arriva a comprendere che molti degli strumenti appresi nell’infanzia non servono a nulla, anzi, possono essere dannosi. Quando ci rendiamo conto che i nostri genitori, che da bambini vedevamo come supereroi, sono persone “normali”, tutto cambia e ci mette di fronte a una domanda cruciale: chi sei davvero? Le scelte che hai fatto, le hai fatte per te o per accontentare i tuoi genitori? Nel romanzo, dedico molto spazio alla terapia psicologica, perché oggi è una delle strade migliori che una persona possa percorrere per conoscersi e guarire. La storia invita a riflettere su come ogni gesto abbia conseguenze enormi sul mondo che ci circonda: una discussione davanti ai figli, un grido contro la televisione durante un dibattito politico. La “polvere sotto il tappeto” può ancora funzionare, o finisce solo per creare danni incalcolabili? È una riflessione profonda: dobbiamo sempre arrivare alla morte per comprendere le cose o riappacificarci? 

 Simone, diventato giornalista, la cui vita è scorsa solo apparentemente in modo più lineare, in qualche modo anche lui in fuga e rimasto legato da un filo invisibile alla città dell’infanzia, rimarrà sconvolto dalle rivelazioni di Luca e, vinto da un insostenibile senso di colpa, riscatterà il dolore dell’amico scrivendo e consegnando ai lettori le sue memorie. Una vittoria sul silenzio e sulle sue più cupe ombre dunque. È questo il senso ultimo, il valore salvifico della scrittura e, per estensione, della musica, la partitura per eccellenza? 

 Il “potere salvifico” è un concetto che evoca molte emozioni. Credo che sì, la scrittura, sia musicale che letteraria, possa davvero salvare le persone, ma solo a condizione di raccontare la verità. Fin dall’inizio, ho scelto di comunicare la verità, di confrontarmi con il lettore, di provocarlo, di infastidirlo, come uno spillo che penetra sotto la pelle, parola dopo parola. Penso che il racconto del reale possa aiutarci: ci permette di vedere che, in fondo, non siamo soli, che molti di noi vivono in prigioni di cui hanno perso la chiave e forse quella chiave non si sa come l’abbiamo noi che guardiamo da fuori. Il silenzio a volte può essere costruttivo, ma il silenzio che avvolge il mondo è pericoloso. Dante, per esempio, relega gli Ignavi fuori dall’inferno, condannandoli a pene terribili, perché il silenzio verso il reale è la non-scelta. Restare in silenzio significa diventare i primi carnefici di noi stessi e del mondo intorno a noi. Dobbiamo prima di tutto provocare noi stessi, avere il coraggio di instillare dubbi, e poi ascoltare: quante persone come Luca esistono nel mondo? Dobbiamo osservare e dare voce a queste persone, agli ultimi. Ed è proprio questo che fa Simone. Dona una storia – una storia tragica e senza speranza, certo, ma pur sempre una storia su cui riflettere. 

Crede, o meglio teme, che l’intelligenza artificiale, le cui applicazioni hanno già portato robot a comporre ed eseguire brani di musica classica come a scrivere opere letterarie, arriverà a soppiantare l’uomo e i frutti del suo ingegno e della sua sensibilità? 

È una domanda intensa, che apre scenari complessi. Credo che l’intelligenza artificiale rappresenti una grande opportunità per tutti. Per quanto riguarda il rischio di “soppiantare” l’uomo, penso che questo processo sia iniziato già negli anni ’60, come anticipavano filosofi come Heidegger o Günther Anders. L’intelligenza artificiale non fa altro che amplificare un percorso già avviato, un’evoluzione inevitabile. Tuttavia, l’IA funziona solo su input, e penso che l’emozione umana, l’arte autentica, quella che definiamo “salvifica”, sia impossibile da replicare o sostituire. Piuttosto, dobbiamo cambiare prospettiva e approccio verso questa nuova forma d’intelligenza. Certo, può incutere timore, ma una buona comprensione delle teorie della Scuola di Francoforte può aiutare a vedere l’IA come il proseguimento di un processo che ha preso il via decenni fa e che ora accelera a velocità vertiginose. Ciò che forse manca è proprio la comprensione: comprendere la storia e imparare da essa, una lezione che, a giudicare dall’attualità, l’umanità sembra non aver ancora appreso del tutto. 

Quali sono i suoi programmi e progetti futuri? 

Ho molti progetti in cantiere. Ho appena terminato il mio quinto romanzo, in cui esploro le relazioni e mi chiedo se i valori tradizionali che ci sono stati insegnati siano ancora validi o se dobbiamo prepararci a un cambiamento anche in questo ambito. Al centro del romanzo c’è una domanda provocatoria: possiamo considerare la gelosia un disturbo mentale, alla stregua di altre patologie psichiche? Questo lavoro mi ha anche ispirato a creare un podcast, che uscirà nei prossimi mesi, in cui affronterò il tema delle relazioni, sempre più complesse e fluide. Inoltre, ho già iniziato a scrivere le prime bozze del mio sesto romanzo. Le idee non mi mancano, e ho almeno cinque abbozzi di nuove storie nel cassetto, pronti per essere sviluppati. 

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Riprende il via la Rassegna “DONATORI DI MEMORIE” organizzata dall’Associazione culturale RIACHUELO – Pro Loco San Lorenzo

Martedì 29 ottobre 2024 ha ripreso il via la Rassegna “DONATORI DI MEMORIE” organizzata dall’Associazione culturale RIACHUELO – Pro Loco San Lorenzo, nella sede di Via dei LATINI 52 a Roma. La manifestazione, che si protrarrà fino a martedì 3 dicembre, prevede la realizzazione di una serie di incontri e “feste” con personaggi che hanno attraversato il quartiere San Lorenzo in qualità di protagonisti o testimoni, lasciando un’impronta nella storia sociale e culturale di quest’angolo di Roma.  

Storie importanti, alcune forse poco note, ma tutte finalizzate a una narrazione corale, genuina e senza infingimenti, di una zona sospesa tra arte, socialità e militanza.  Ciascun incontro, – video-registrato e conservato – si pone come un tassello necessario alla costruzione di un Archivio digitale capace di dar conto delle molteplici esperienze del quartiere. Nell’evento dello scorso 23 ottobre, la funzionaria archivista di Stato Caterina Arfè ha parlato dell’importanza della Archivistica e delle Fonti orali. È stato poi proiettato il documentario P-artigiano prodotto da Blue CinemaTV di Daniele Baldacci. 

 Il secondo incontro, tenutosi martedì 5 novembre, è stato dedicato a Biagio Propato, poeta on the road di San Lorenzo con proiezione del film Poeti di Nino D’angelo. Testimoni sono stati studiosi, amici e parenti.

Protagonisti dell’incontro del 12 novembre saranno Giuseppe Sartorio, scultore del quartiere, detto “il Michelangelo dei morti”, misteriosamente scomparso nel 1922, e il villino da lui costruito su via Tiburtina. I donatori di memorie saranno, in questa occasione, l’erede saranno Margherita Mastropaolo e lo storico Andrea Amos Niccolini. 

 Il 19 novembre si terrà un incontro dal titolo A proposito del Pastificio Cerere, la Scuola di San Lorenzo. A raccontare sarà Roberto Gramiccia, amico, dai primi anni ’80, degli artisti del Palazzo e Alberto Dambruoso, storico dell’arte.  

Il 26 novembre la ricercatrice Serena Donati ricorderà l’esperienza preziosa di Simonetta Tosi e la realizzazione nel 1976 a San Lorenzo del Consultorio autogestito. 

Il 3 dicembre Mauro Papa sarà infine il testimone dell’esperienza politica del padre Carlo, autore della scritta “Eredità del fascismo, vergata su una delle pareti di un palazzo crollato sotto le bombe alleate del 1943.  

Pro Loco San Lorenzo, Via dei Latini, 52, info: 3391467003 

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Anteprima a Roma: “Les files et les garçons de mon âge”

Il cortometraggio di 19 min, dal titolo «Les filles et les garçons de mon âge» di Giovanni Princigalli sarà presentato in competizione, e in anteprima internazionale al RIFF Festival del cinema indipendente di Roma giovedì 21 novembre alle 16.30 al Nuovo cinema Aquila (Via l’Aquila, 66/74,  Roma).
 
L’anteprima mondiale si è svolta al Black Film Festival di Montreal nel mese di settembre.

Les filles et les garçons de mon âge

19 minuti, 2024, di Giovanni Princigalli 

BREVE SINOSSI

 “Les filles et les garçons de mon âge” racconta l’ultimo fine settimana che Hector, un ragazzo Cubano-Canadese di quattordici anni, sta trascorrendo a Montreal, nella cooperativa edilizia dove è nato e cresciuto. Sua madre, Iulia, di circa 38-40 anni, di origine rumena, ha sposato Bruno, un italo-canadese di circa 57-60 anni, che vive anch’egli nella cooperativa. Iulia è vedova da molto tempo. Bruno e Iulia pensano di voler cambiare la loro vita ora. Vogliono aprire una gelateria su una spiaggia della California. Ma Ettore ha paura dell’ignoto e di lasciare il suo micromondo. È cresciuto con gli altri bambini della cooperativa. Hanno frequentato lo stesso asilo, poi la scuola elementare e infine la scuola media. Hector è segretamente innamorato di Noa, una sua coetanea che vive anch’essa nella cooperativa. Prima di partire, deve trovare il coraggio di confessare il suo amore. Il grande viaggio coincide con il primo bacio e il passaggio dall’infanzia all’adolescenza.

CON IL SOSTEGNO DI 

Conseil des Arts du Canada

Office National du Film du Canada – Aide au cinéma Indépendant

PRIM Aide à la création

CGIL Montréal

Federazione delle cooperative abitative del Quebec e del Canada

Caisse coopérative italo-canadienne de Montréal

Interprets
Hector IZAK HECHAVARRIA-BOUDREAULT
Noa MÉGANE PROULX
Sofia LEEVIA ELLIOTT- ROBINSON
Amir RYAN NIKIRAD
Marc LLYR YAH-HO REDWEIK-LEUNG
Samira INES FEGHOULI
Père adoptif de Hector TONY CALABRETTA
Mère de Hector CATALINA POP
Maria (la voyante) ANTONINA MARRA
Père biologique de Hector NOEDY HECHAVARRIA DUHARTE
Petite fille STELLA PRINCIGALLI
Producteur  exécutif BRUNO RAMIREZ
Producteur  exécutif SILVESTRA MARINIELLO
Producteur  exécutif PAUL TANA
Directrice-photo CLÉMENTINE MARTIN
Montage ROBERTO ZORFINI
1er(ière) assistant(e) à la réalisation KARAN SINGH et MING MORIN
Directeur de production ANDRES MOLINA
Coordinatrice de production FRANCESCA PALA
Assistant de production DANAIS CAMPO
Assistant de production EMMANUEL MARTIN
Assistant de production DANAY CAMPOS
Concepteur et monteur  sonore BRUNO PUCELLA
Mixeur CLOVIS GOUAILLIER
Bruiteur PAUL HUBERT
Runner Emma Princigalli
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Il Convegno Teologico sul primo Beato del Giubileo

«Il “Beato” don Giovanni Merlini: la spiritualità del discernimento e della guida» 

Il Convegno Teologico sul primo Beato del Giubileo! 

Lunedì 11 novembre 2024, dalle ore 15:00, presso l’Aula 200 della Pontificia Università Lateranense, si terrà il Convegno Teologico dal titolo: «Il “Beato” don Giovanni Merlini: la spiritualità del discernimento e della guida». Questo appuntamento è promosso dal Centro Studi Unione Sanguis Christi in occasione della prossima beatificazione di don Giovanni Merlini, Missionario del Preziosissimo Sangue e III Moderatore Generale dell’Istituto, che avrà luogo il 12 gennaio 2025 alle ore 11:00 presso l’Arcibasilica Papale San Giovanni in Laterano, a Roma. 

 

Don Benedetto Labate, direttore provinciale della Congregazione dei Missionari del Preziosissimo Sangue, afferma che «dal punto di vista storico, il Convegno del Centro Studi rappresenta una tradizione consolidata per noi Missionari del Preziosissimo Sangue, per le Adoratrici del Sangue di Cristo, e anche per altre famiglie spirituali legate alla devozione al Sangue di Cristo. Fin dagli anni Sessanta, i nostri missionari si sono impegnati nella ricerca scientifica e nello studio approfondito di questa spiritualità. Conserviamo infatti importanti studi teologici, spirituali, biblici, pastorali, antropologici e patristici sul Sangue di Cristo, un patrimonio di inestimabile valore. Desidero ringraziare personalmente don Giacomo Manzo, direttore del Centro Studi, che da qualche anno ha deciso di riprendere questa tradizione e portarla avanti con dedizione. Questo impegno ci permette di crescere, come ci insegna Gesù nel Vangelo, nella verità e nella ricerca del bene dell’umanità. Il Sangue che ci ha redenti, riconciliati, santificati e giustificati continua a offrirci spunti di riflessione e di crescita non solo sul piano intellettuale, ma anche sul piano umano e cristiano, rendendo questo evento un’opportunità preziosa per tutti noi». 

Don Luigi Maria Epicoco e don Giacomo Manzo

Don Giacomo Manzo, direttore del Centro Studi Unione Sanguis Christi, evidenzia che «quest’anno abbiamo deciso di dedicare il Convegno Teologico alla figura del prossimo Beato don Giovanni Merlini. In particolare, ci concentreremo sulla spiritualità del discernimento e della guida, poiché don Giovanni Merlini può essere considerato a buon diritto “il Santo del discernimento”: un uomo che, grazie all’azione dello Spirito Santo, ha saputo vivere e insegnare come affrontare le scelte della propria vita, come governare sé stessi alla luce della Parola di Dio e della volontà divina. Don Giovanni Merlini rappresenta un esempio di come ci si possa lasciar guidare dallo Spirito Santo nelle decisioni e nella quotidianità. Per questo motivo, abbiamo invitato diversi relatori, che ci aiuteranno a comprendere come i temi del discernimento e della guida siano oggi fondamentali sia per la Chiesa che per la società. Dal messaggio delle Sacre Scritture ai Padri della Chiesa, fino alla teologia e agli insegnamenti stessi di don Giovanni Merlini, scopriremo come tutto ciò ci sostiene nella vita cristiana e nella concretezza del nostro vivere quotidiano».  

Molteplici saranno i docenti coinvolti nel Convegno come relatori: Luigi Maria Epicoco, Riccardo Ferri (Pro-Rettore della Pontificia Università Lateranense), Rosalba Manes, Jean Paul Lieggi, Gaetano Piccolo (Decano della Facoltà di Filosofia della Pontificia Università Gregoriana) e Valerio Volpi. Il Convegno si aprirà col saluto di Mons. Alfonso Vincenzo Amarante, Rettore della Pontificia Università Lateranense e con una introduzione di Andrea Tornielli, Direttore Editoriale del Dicastero per la Comunicazione della Santa Sede. 

Roma 07/11/2024 

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San Lorenzo racconta. Storie di tempi non troppo lontani. Emozioni di un quartiere. Memorie, esperienze, storie raccontate da chi le ha vissute

L’Archivio Pro Loco San Lorenzo raccoglie le video-testimonianze di protagonisti e testimoni che hanno attraversato  il quartiere San Loreno di Roma lasciando, lasciando un segno significativo della loro esperienza.

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“Roma Nostra”. La Città Eterna vista dal fotografo e performer Augusto De Luca

“Roma Nostra”

di Augusto De Luca

Credo che Roma sia la città di tutti, è presente nel nostro patrimonio genetico…si è da sempre romani. Centro del mondo e forse dell’universo, quando si attraversano le sue strade, pur avendo una maestosità che incute rispetto ci si sente a proprio agio. È la città “calda” a cui tutti in qualche modo apparteniamo. Roma è nostra. Nel racconto fotografico della città il mio è un itinerario del tutto spontaneo e intuitivo dettato solo da ciò che mi ha attratto e spinto ad una sintesi tra realtà esterna, razionalità e creatività. Con un chiaro riferimento al magico ed al metafisico, matrici che accompagnano tutti i miei lavori, l’intento è stato di proporre una Roma senza tempo, classica e moderna, antica e futura, oltre le mode e gli imperi che l’hanno attraversata dei quali oggi restano solo i segni. Roma non appartiene a nessun tempo. Ho sottolineato ulteriormente la sua totale autonomia e sospensione ritraendola completamente deserta, imprigionata da lunghe icone orizzontali, come il palcoscenico di un teatro dove si recita ogni giorno la vita di cui si intravede solo il riverbero e dove regna sovrano il silenzio. È impossibile dare l’idea di una città così “grande”, così assolutamente piena di tutto e quindi imprendibile nella sua essenza più profonda. Io ho cercato di svelare almeno qualcuno dei suoi segreti.
“Certe volte basta un selciato sconnesso, respirare un odore ed ecco che la città è lì, attorno a te” Jean Paul Sartre.                                                                                                 

Augusto De Luca, (Napoli, 1 luglio 1955) è un fotografo e performer. Ha ritratto molti personaggi celebri. Studi classici, laureato in giurisprudenza. E’ diventato fotografo professionista nella metà degli anni ’70. Si è dedicato alla fotografia tradizionale e alla sperimentazione utilizzando diversi materiali fotografici . Il suo stile è caratterizzato da un’attenzione particolare per le inquadrature e per le minime unità espressive dell’oggetto inquadrato. Immagini di netto realismo sono affiancate da altre nelle quali forme e segni correlandosi ricordano la lezione della metafisica. E’ conosciuto a livello internazionale, ha esposto in molte gallerie italiane ed estere. Le sue fotografie compaiono in collezioni pubbliche e private come quelle della International Polaroid Collection (USA), della Biblioteca Nazionale di Parigi, dell’Archivio Fotografico Comunale di Roma, della Galleria Nazionale delle Arti Estetiche della Cina (Pechino), del Museo de la Photographie di Charleroi (Belgio).

https://fr.wikipedia.org/wiki/Augusto_De_Luca

http://www.edueda.net/index.php?title=Augusto_De_Luca

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“’La mappa smappata’ con un aforisma di Achille Bonito Oliva”. In corso a Roma la mostra di Giancarlino Benedetti Corcos

“La mappa smappata” con un aforisma di Achille Bonito Oliva”

In corso a Roma la mostra di Giancarlino Benedetti Corcos 

Galleria André – Via Giulia 175

Inaugurata venerdì 25 ottobre a Roma con il titolo de “LA MAPPA SMAPPATA” e visitabile fino al 16 novembre la personale di Giancarlino Benedetti Corcos, Giancarlino per tutti, amato artista della Capitale da ultimo votato anche alla ceramica, anche se è questo è un amore che parte da lontano.

Le mappe si ribellano… Giancarlino

A commentarne qui, invece, le tele, i testi di Geri Morellini, giornalista e regista televisivo, che parla, per l’Artista, di “pittura veloce come in scrittura il flusso di coscienza di Kerouac sui rotoli di carta, per non voltare pagina senza perdere attimi e connessioni. Tratti infantili, a olio, su lenzuola, in un linguaggio intimo e universale. Campi di fiori per parlare con l’aldilà e la sua amata. Ancora donne, in tutto il loro mistero rassicurante, sorridenti. Note di musica che scandiscono la tela nel ritmo di uno spartito. Una pittura che nella velocità felice, come in un paesaggio visto a 300 km all’ora, unisce astratto e figurativo. Immanenza, di solito color oro, e trascendenza, sempre colorata. Quella velocità interattiva fornisce interpretazioni drastiche e fiere alla vanità dello spettatore, che coglie ciò che forse anche il pittore avrebbe perso, secondo lui, in una fugace creatività”.

Testo sulle Mappe e il titolo della mostra

E dice quasi tutto, se non fosse che Giancarlino ha anche molto ha avuto e ha a che fare con la sperimentazione artistica tout court, con il non sense di tanti festival, con la poesia e la parola scritta, con l’intreccio suo artistico, culturale, ideale, umano con tanti altri artisti e creativi con cui ha camminato in questi anni, prima su tutti proprio la sua compagna anche di vita, Laura Rosso, in un viaggio che è, come per tutti, soprattutto di vita prima che d’arte (….”artista e uomo sono uguali e indistinguibili, loro” scrive Morellini).

“Le mappe sono docili … perché possono sempre cambiare”l’aforisma di Achille Bonito Oliva, per una mostra in fieri, che si va costruendo mentre se ne parla. “La mappa smappata”, laddove, dice Giancarlino: “Le Mappe si ribellano quando i confini vengono dettati dalla Guerra. Si cancellano, si nascondono, forse per non farsi più vedere. Si cancellano i binari, i confini. Per far posto a odi, forse eterni, che ci piegano. Un trauma assoluto, solo Sisifo accorre in riparo. Lui, che tutti dicono sofferente, in realtà è felice di fare la sua opera, da lontano. Dall’alto vede il panorama e confini dettati dalla pietra che rotolando segna sempre nuovi tratti, nuovi confini aperti, non gestiti dal Male del mondo. Più in basso la casa del Giullare Terpandro che danza per cercare una casa lì vicino, cercando la sua amata, Verina. Un po’ più sotto dei balli di parole. Terpandro e Verina anche loro tracciando confini nella terra flebile verso il Teatro del Sole e dell’Ombra”.

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Giancarlino Benedetti Corcos, è un artista (ma preferisce pittore), diplomato presso L’Istituto Nazionale per la Grafica. Studia poi architettura nei corsi di Bruno Zevi. Espone in molte gallerie romane, spesso accompagnando le mostre con sue performances basate su testi teatrali (“commediole” scritte a quattro mani con la compagna, oggi scomparsa, Laura Rosso, storica dell’arte, sua musa) o su figure immaginarie. Diversi i supporti su cui dipinge: ceramica, tela, legno, carta, materiali semplici o di recupero, lenzuola. Da otto anni usa la ceramica come campo di sperimentazione del progetto di architettura. Le sue opere sono state esposte tra l’altro alla Biennale di Venezia nel 2012 a cura di Vittorio Sgarbi, nell’appartamento di Innocenzo X e Olimpia a Sant’Agnese in Agone in occasione del 350esimo compleanno del Borromini, a cura di Achille Bonito Oliva e Francesco Giulio Mazzeo, a Neuss nel Castello di Benrath, New Orleans performance al Gary Keller, Macro Asilo a Roma.

La mappa smappata ! Roma, Galleria André – Via Giulia 175. Dal 25 ottobre al 16 novembre 2024.

Orari: martedì-venerdì 10-13 | 16-19. Sabato 16-19.  Tel. 06-6861875 – e-mail: info@andrearte.it

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L’immortale eco della Scrittura. Intervista a Jacopo Lavezzoli

L’immortale eco della Scrittura 

Intervista a Jacopo Lavezzoli  

a cura di Luca Carbonara 

Jacopo Lavezzoli

 In principio erat verbum , dal Vangelo di Giovanni, e la parola era con Dio, a indicare la genesi e, insieme,  la corrispondenza, la totale adesione della stessa parola con Dio, con il principio di tutto: che cos’è per te la parola e dove nasce?                       

Iniziando dalla visione mistica, che lei mi suggerisce citando il vangelo, posso dirle che la parola è stata investita di potere magico molto prima della nascita del cristianesimo: nelle culture più antiche, come quella egizia e mesopotamica, la parola non era solo un mezzo di comunicazione, ma uno strumento capace di influenzare il mondo. Gli Egizi credevano che la “heka”, ovvero la magia, fosse attivata proprio dalle parole. Nei rituali, le formule pronunciate con precisione potevano chiamare gli dei, proteggere l’anima nel viaggio verso l’aldilà, o persino manipolare il destino. Lo stesso accadeva tra i Sumeri e gli Accadi, dove gli incantesimi orali servivano a invocare le divinità o scacciare gli spiriti maligni. Anche in India, nella civiltà vedica, i mantra erano visti come potenti strumenti capaci di plasmare la realtà: il suono delle parole aveva il potere di mantenere l’equilibrio del cosmo. 

Ma la parola non ha bisogno di poteri magici per assumere un ruolo fondamentale nella storia umana; da un punto di vista antropologico, essa è stata il fondamento stesso dell’evoluzione sociale. Senza la parola non avremmo potuto tramandare conoscenze, raccontare storie, creare legami tra individui. L’antropologo Claude Lévi-Strauss sosteneva che i miti e le leggende non erano semplici racconti, ma sistemi di pensiero che riflettevano la struttura sociale di una comunità.  

E, da scrittore, non posso non parlare della parola dal punto di vista dello storytelling: Will Storr, nel libro: La scienza dello storytelling, insegna il valore antropologico del raccontarsi storie. Sono migliaia di anni che gli umani si tramandano informazioni attraverso narrazioni avvincenti, e questo processo è diventato parte di noi, del nostro modo di pensare e conoscere. I lettori di oggi sono figli di una tradizione antichissima e rispondono alle sollecitazioni emotive secondo aspettative e criteri ben precisi. Alimentare la curiosità, innescare l’empatia, coinvolgere la memoria… sono tutti meccanismi che fanno parte di un sistema definibile e studiabile che si chiama, appunto, storytelling. 

Mentre preparavo l’esame di psicologia generale, avevo letto qualcosa di molto interessante riguardo alla relazione che intercorre tra la vastità del vocabolario conosciuto da un individuo e il suo livello intellettivo. Confesso che per risponderle ho dovuto riprendere in mano qualche vecchio libro. È stato Lev Vygotsky a sostenere che il linguaggio non è solo uno strumento per comunicare, ma un mezzo per pensare. Più parole conosciamo, più siamo capaci di articolare pensieri complessi e risolvere problemi. Anche in alcuni test del QI è presente una valutazione delle capacità linguistiche e del vocabolario.  

Anche se, forse, la sorprenderà sapere che la più importante lezione sul valore delle parole non l’ho appresa durante gli studi di psicologia, ma nel periodo in cui preparavo gli esami di giurisprudenza: ricordo che nel corso dell’esame di diritto costituzionale, al primo anno, un me molto più giovane e ignorante ha risposto che: “il decreto legge viene messo sulla gazzetta ufficiale e diventa legge solo dopo 60 giorni.” L’assistente mi rispose un secco “no.” Io pensai di aver sbagliato la tempistica. “Forse erano 80 giorni?”. Ancora lo stesso “no”. Dopo avermi lasciato arrovellare per qualche minuto, l’assistente mi bocciò dicendomi che i decreti legge non vengono messi sulla gazzetta ufficiale, ma pubblicati. Non la presi bene, all’epoca, pensai che il senso avesse più importanza della forma, ma in seguito imparai che l’uno perde valore senza l’altra. Scegliere la giusta parola può valere un esame all’università e molto di più. 

Infine, non posso non menzionare Stephen King, che, nel celebre libro On Writing: A Memoir of the Craft, alla domanda: “Come scrivi un libro?”, ha risposto: “One word at a time”, ovvero “Una parola alla volta”. Questa affermazione racchiude una verità essenziale: ogni parola è un tassello di un’opera più grande. Scrivere è una costruzione paziente, e ogni parola, scelta con cura, contribuisce a creare una storia solida e coerente. La parola, che nei millenni ha avuto il potere di influenzare la magia e la società, rimane oggi il cuore pulsante della narrazione. 

Che cosa significa per te scrivere? C’è in esso una tensione etica? I tuoi studi, di giurisprudenza prima e di psicologia clinica poi, come hanno influenzato la tua scrittura in termini di stile, visione e ispirazione? E in termini di scandaglio psicologico dei personaggi?                                                                             

Per me scrivere è molte cose: un atto catartico intimo e personale; un canale che mi permette di convertire i pensieri più grezzi ed emotivi in concetti più raffinati e razionali; è comunicazione nella sua accezione più nobile, ovvero Arte, che si tratti di un quadro, una scultura, una sinfonia o un libro, ogni forma d’arte permette all’autore di trasmettere il suo mondo interiore al pubblico, comunicando ciò che prova, ciò che è. L’etica e la scrittura hanno sicuramente dei punti di contatto, ma bisogna stare attenti a non sfociare nella didattica, per poi franare nel proselitismo. Un buon libro sa affrontare temi etici senza schierarsi: gridare al mondo le proprie opinioni attraverso le parole di un personaggio è meschino, e giustamente allontana i lettori. Nell’Antico Mortale ho mostrato alcuni conflitti essenziali: tradizione contro innovazione, giusta guida contro libero arbitrio, coerenza verso i propri obbiettivi contro capacità di adattamento… Attraverso le azioni dei personaggi ho mostrato dove possono condurre certe scelte, ma spero di aver lasciato abbastanza spazio per le riflessioni dei lettori. 

Già nella risposta alla prima domanda ho accennato ai miei studi, posso aggiungere che la laurea in legge mi ha permesso di comprendere alcuni aspetti interessanti relativi alla gestione del potere, alla costruzione della società, al modo in cui le persone si accordano per raggiungere i propri fini e come questo abbia sempre un prezzo. La società stessa ha un prezzo molto salato: il bene della collettività supera l’interesse del singolo, l’istinto naturale viene addomesticato e piegato a norme e costumi, i bisogni primari vengono veicolati e strumentalizzati al fine di creare un sistema relativamente prevedibile e gestibile attraverso leggi e regolamenti. Ognuno di noi paga un caro prezzo di libertà per ottenere sicurezza e stabilità. 

Mi sono laureato in legge senza sapere cosa ne avrei ricavato, ma quando ho deciso di tornare all’università per conseguire la seconda laurea in psicologia, l’ho fatto per passione. Comprendere perché le persone fanno ciò che fanno è sempre stato il mio desiderio primario. Ovviamente non ho trovato una risposta assoluta, ma, tra gli studi e le esperienze di vita, ho sviluppato una buona competenza nel costruire modelli mentali che, per rispondere alla sua ultima domanda, sono essenziali per sviluppare personaggi coerenti e profondi.  

Pensi a una persona che le è cara e che conosce da molto tempo, potrebbe essere sua moglie, il suo migliore amico, sua madre… immagini di avere una conversazione con questa persona. Sono certo che riuscirà a prevedere ogni sua risposta, magari vedrà anche come si muove, gesticola e si aggira per la stanza.  

Io potrei vivere per anni isolato dal mondo – in certi periodi della mia vita l’ho fatto davvero – perché nella mia mente converso continuamente con un’infinità di persone. Alcuni miei amici si risentono perché non mi faccio sentire per mesi, ma io parlo con loro continuamente.  

Negli anni, ho sperimentato quanto le mie conversazioni simulate fossero logiche e veritiere, ho predetto il comportamento di diverse persone a distanza di mesi o anni, ricevendo poi conferma dei miei pronostici.  

Studiare psicologia mi ha certamente aiutato a sviluppare questa capacità, ma sono così tante le esperienze e le nozioni che hanno contribuito a formare la persona che sono oggi, che non saprei proprio come riassumerle tutte in questa intervista. 

Che cosa significa per te vedere e qual è il tuo rapporto con la realtà, come ti sentiresti di definirla e che cosa è per te reale? C’è una componente magica in essa e qual è la chiave per coglierla?                                                                                     

Da un punto di vista neurologico, vedere, sentire, toccare… sono tutti stimoli raccolti dai nostri recettori che vengono poi convertiti in impulsi bioelettrici che viaggiano attraverso il sistema nervoso per arrivare al cervello. E una volta arrivati, che succede? Credo sia quello il punto e il luogo in cui la sua domanda trova la lacuna della scienza in cui dare spazio alla magia.  

Senza allontanarci troppo da ciò che è dimostrabile e verificabile, fermiamoci un istante a riflettere sul fatto che il mondo che vediamo è solo una ricostruzione parziale e artificiale. Esistono molti più colori di quanti ne colga l’occhio umano, esistono spettri luminosi che non possiamo percepire, ognuno di noi ha un punto cieco nel capo visivo che viene riempito da un’ipotesi plausibile del nostro cervello. E stiamo parlando soltanto della vista. Tutti i nostri sensi sono estremamente limitati e imprecisi, anche la memoria è molto meno affidabile di quanto si pensi. Quindi, il mondo che crediamo di vedere è quello che realmente ci circonda? Sì e no. Sono un uomo pragmatico e preferisco una buona risposta euristica a una credenza fideistica.  

Ognuno di noi sa che potrebbe morire il giorno seguente, investito da un’auto o colpito da un asteroide, perché no? Ma scegliamo ugualmente di scrivere la lista della spesa, di compilare l’agenda, di cominciare la dieta, di accettare l’invito a cena di uno spasimante… perché? Perché l’alternativa sarebbe l’immobilismo. Se ci fidassimo solo di ciò che è certo al 100% non potremmo fidarci di nulla e periremmo di stenti in una morsa di terrore. Più o meno consciamente, approssimiamo le stime, e ciò che è molto probabile diventa certo, ciò che è successo negli ultimi vent’anni accadrà anche domani. Il sole sorgerà ancora, il rosso sarà sempre rosso e io domani non verrò colpito da un asteroide. 

Quindi, che si tratti della trama di un libro o della vita quotidiana, la definizione di “reale” è il frutto di una scelta, non di un fatto.  

Come nasce in te la predilezione per il genere fantasy, deriva forse da un’irrisolta conflittualità con la stessa realtà che ti circonda, o piuttosto dal desiderio di reinventarla, di sublimarla? Quanta verità e/o lungimiranza nell’immaginazione?                                                                                                               

Devo premettere che, per ragioni di marketing, l’etichetta del genere letterario di un libro va scelta per individuare il target di riferimento; la mia trilogia è classificata come “thriller”, ma immagino che lei si stia riferendo al “fantasy” secondo la sua accezione letterale, ovvero di fantasia, intesa in contrapposizione a tutto ciò che è reale. In tal senso, anche horror e fantascienza possono essere considerati “fantasy”. 

Detto ciò, io sono un estremista: non racconterei mai una storia “reale”, proprio come non amo leggerle. Potrei dire che la realtà non si batte; quando voglio una storia vera apro la finestra, ascolto la gente al bar, telefono a un amico, faccio un viaggio, ascolto i miei pazienti… siamo letteralmente immersi nella realtà, c’è davvero bisogno di raccontarsela anche nei libri? Non confondiamo reale con realistico, mi raccomando! Anche la più assurda storia di fantasia è bella solo se mantiene vivo il “patto di sospensione dell’incredulità”, e questo significa che a partire dall’introduzione dogmatica: gli alieni esistono, possiamo viaggiare nel tempo, abbiamo clonato i dinosauri… tutto ciò che seguirà dovrà essere logico e razionale. Il principio di causa/effetto deve essere sempre rispettato! 

Io ritengo che un libro, o un film, siano finestre che qualcuno apre su mondi alternativi che altrimenti non potremmo vedere. Un dono meraviglioso! Inestimabile. Per questo motivo, scrivo storie di fantasia con solide basi scientifiche, faccio ricerche storiche, mi documento e spendo nottate a prendere appunti e sviluppare ipotesi. Per donare ai lettori uno scorcio su qualcosa che non possono trovare da nessun’altra parte. Un’esperienza unica e autentica che la vita reale non può offrire. 

Quanta verità c’è nell’immaginazione? Se scegliamo di crederci per tutta la durata della lettura, c’è tutto ciò di cui abbiamo bisogno. E quando chiudiamo il libro, le emozioni che rimangono sono autentiche. 

Tu sei autore di un’opera davvero ponderosa, la trilogia La Genia d’Oro suddivisa nei tre volumi Il Diario Segreto di Edgar Stone, Cercando Amy e L’Antico Mortale, l’ultimo della serie appena edito che si differenzia e distingue per il diverso stile narrativo, che passa dalla forma diaristica al romanzo, e per il soggetto declinato in terza persona. Che cosa ha voluto dire per te in ultima analisi realizzare questa impresa letteraria che ha comportato una lunga ricerca storica, documentaristica e dialettica, un continuo confronto tra storia, anti storia, miti e leggende? Quali sono i limiti della ricerca storica? La si può disgiungere da una ricerca filosofica?                                                               

Il primo libro della trilogia nasce come un progetto molto più piccolo e privato: ispirandomi ai racconti di Lovecraft, in cui spesso il personaggio narrante racconta di aver trovato un diario, avevo deciso di scrivere a mano, ogni sera, calandomi nei panni di Edgar Stone, prendevo nota, disegnavo mappe, codici, appunti. Al termine del lavoro, invece di regalare il manoscritto a un amico, decisi che il risultato finale meritava la pubblicazione. Così l’ho trascritto al computer, cercando di salvare lo stile originale. 

In seguito mi sono chiesto cosa ci fosse oltre i confini della Rocca, il laboratorio segreto in cui si svolge il primo libro, così ho deciso di allargare la scena scrivendo un secondo diario, in cui il nuovo narratore racconta il suo viaggio alla ricerca della fidanzata scomparsa, finendo nello stesso mistero che aveva risucchiato Edgar Stone. Il primo libro diventa parte integrante del secondo, inquanto viene ritrovato dal nuovo narratore. In un mix di azione anni 80’ e thriller scientifico in stile M. Crichton, il secondo romanzo si rivela essere una storia adrenalinica che alza il livello dei misteri. Dall’ambiente chiuso della Rocca, si passa alla Colombia, fino a scopre che il mondo intero è coinvolto, che le risposte sono sepolte nel passato e una grande guerra sta per sconvolgere il pianeta.  

Il terzo libro ha richiesto molto più lavoro rispetto ai precedenti; attraverso il narratore onnisciente ho risposto a ogni quesito lasciato in sospeso, ho raccolto i semi pazientemente distribuiti nei primi libri. Si scopre la vera identità di personaggi quasi dimenticati, si svela la cospirazione che stava dietro agli esperimenti e i due veri contendenti scendono in campo per combattere la battaglia finale. 

Non ho trovato particolari limiti nel corso della ricerca storica: al giorno d’oggi le informazioni sono facilmente reperibili, spesso possiamo trovare quello che stiamo cercando senza bisogno di sapere se esista veramente. Mi spiego meglio, ipotizziamo di voler dimostrare che il caffè è cancerogeno: basterà cercare su Google “il caffè è cancerogeno” e appariranno svariate informazioni. Volendo, potremmo alzare il livello del nostro lavoro cercando su Google Scolar, o altre piattaforme simili, per trovare ricerche e pubblicazioni scientifiche. Poi proviamo a cercare: “il caffè previene il cancro”, e troveremo altrettante informazioni. 

La storia, le pubblicazioni scientifiche, le ricerche antropologiche, le religioni, i miti e le leggende, rappresentano un mare magnum di informazioni, in cui è possibile affermare tutto e il contrario di tutto, in perfetto stile sofistico. Per ricollegarmi alla sua domanda sulla filosofia, credo che, se oggi Socrate potesse tornare in vita, si divertirebbe moltissimo a navigare su Internet. Diventerebbe il peggiore dei Troll che infestano forum e social.  

Qual è il tuo rapporto con il Tempo? È sempre sinonimo di evoluzione? Smetterà mai la guerra di essere lo strumento principe di risoluzione dei conflitti tra i popoli?                                                                                                             

Domanda interessante. In effetti ho sempre avuto un rapporto difficile col tempo, con la sua ineluttabilità e con la mortalità. A 18 anni, all’esame di maturità, scrissi una tesina dal titolo: Il desiderio di immortalità, riportando esempi di come questo desiderio umano sia stato promotore di evoluzioni in campo artistico, filosofico, sociale e culturale. La paura della morte e il mistero che l’accompagna è alla base di ogni religione. L’essere umano è l’unico animale che vive con la consapevolezza che un giorno dovrà morire. È un peso titanico che trascina sul fondo del nostro inconscio una serie di timori e riflessioni che ci condizionano ogni giorno.  

Il rapporto tra tempo ed evoluzione non descrive una curva ascendente: Ai tempi in cui l’antropologia era una materia da salotto, si era soliti suddividere le diverse popolazioni secondo una gerarchia evolutiva, convinti che le tappe fossero facilmente inseribili lungo una linea progressiva. Ma questa errata convinzione venne smentita dal lavoro di Franz Boas, che nel 1896 pubblicò il celebre saggio: The Limitations of the Comparative Method of Anthropology, dimostrando che le culture seguono percorsi distinti, influenzati da fattori storici e ambientali unici. Boas introdusse il concetto di “relativismo culturale”, sostenendo che le società umane non possono essere classificate su una scala evolutiva fissa e che la diversità culturale è una manifestazione naturale di condizioni diverse. 

Nel corso delle ere si sono evolute e poi estinte un’infinità di specie e, di volta in volta, non si è verificato un processo di perfezionamento vero e proprio. L’evoluzione, che si parli di specie, cultura, arte, moda, o altro, non è mai definibile in termini assolutistici come un miglioramento o un peggioramento. Esso si forgia nel crogiolo del contesto – o ambiente, volendo mantenere una terminologia darwiniana – migliore è ciò che meglio si adatta al contesto, peggiore è ciò che soccombe. Ma il contesto muta in modo entropico, imprevedibile. 

Quanto alla guerra e al suo perpetrarsi nel futuro della società umana, credo che sia molto difficile fare una previsione. Se intendiamo la guerra nella sua accezione di “conflitto”, essa esisterà finché ci sarà vita. Ogni organismo vivente è in conflitto con l’ambiente per mantenersi in equilibrio. In ogni istante, il nostro corpo combatte contro batteri, funghi, virus, replicazioni cellulari fallate che potrebbero sviluppare tumori, variazioni di pressione, temperatura… il conflitto è inevitabile. 

Ma volendo considerare la guerra come estrema espressione “violenta” della società umana, la faccenda si fa molto più interessante. La violenza è la prima e l’ultima risorsa: la prima che sperimentiamo quando siamo bambini e reagiamo aggredendo ciò che non capiamo, ciò che ci disturba; l’ultima che rimane quando siamo messi spalle al muro e dobbiamo scegliere se combattere o morire. Con il progredire della società si è ampliato molto il segmento che sta tra questi due punti. Gli strumenti che ci permettono di risolvere i problemi senza ricorrere alla violenza sono sempre di più e l’educazione alla nonviolenza è sempre più incisiva. Questo fa ben sperare. 

Ma rimane da considerare il fatto che la guerra sta trovando nuovi modi per esprimersi, in assenza di violenza. Basti pensare alle guerre economiche, batteriologiche, mediatiche… Forse smetteremo di vedere uomini che uccidono altri uomini sul campo di battaglia, ma il conflitto per il potere continuerà a mietere vittime in modo più subdolo e indiretto.  

Finché comanderanno le persone che desiderano comandare, invece di quelle più adatte per il compito, ci sarà sempre guerra. 

Quali sono i tuoi programmi e progetti futuri?                                                                 

Ho di recente terminato la prima stesura del mio prossimo libro.                                        Sono lieto di raccontarle brevemente qualcosa su “Le Catene dello Spazio” ambientato nel 2500 (il titolo è provvisorio). In questo romanzo di fantascienza si intrecciano tre trame principali: 

Silas Ryu, il leader di un gruppo di ribelli marziani, progetta di colpire una delle società interplanetarie più potente e corrotta, per mostrare al popolo la verità che sta dietro alla colonizzazione di Marte. Inoltre, cerca di ottenere vendetta per ciò che gli è stato fatto: sottoposto a un trattamento sanitario obbligatorio, gli sono stati somministrati psicofarmaci per disturbi che non aveva, causandogli danni permanenti, con conseguenti allucinazioni e paranoie. 

Matilda Reed, la presidentessa della Matt-poli, sta per realizzare il suo sogno di potere: dopo anni di duro lavoro, legale e non, ha finalmente l’opportunità di impadronirsi di ciò che le occorre per diventare la persona più potente del sistema solare. Ma, senza la guida della madre, Matilda fatica a gestire l’enorme carico di stress e si imbatte in una serie di ostacoli imprevisti. 

Su Edelgord, un pianeta alieno, vive una razza evoluta e senziente, con una società paradossale fondata sulla codipendenza. Gli edeli hanno quattro sessi: femmine, maschi bianchi, maschi rossi e neutri. La società è matriarcale e le famiglie hanno forma triangolare, inquanto per procreare è necessaria l’unione di una femmina, un bianco e un rosso. 

I neutri sono rarissimi, ognuno possiede una particolare maestria innata che lo rende un genio innovatore. Xellar, un neutro con la maestria per la fisica e l’ingegneria aerospaziale, viene convocato per partecipare a un consiglio con il compito di salvare il pianeta da una glaciazione imminente. Edelgord è sull’orlo della catastrofe per aver sfruttato eccessivamente le energie rinnovabili, (luce solare, energia eolica, moto ondoso, geotermica…) innescando un progressivo abbassamento delle temperature, che ora ha raggiunto il punto di non ritorno. 

Attraverso le avventure di questi tre personaggi, Le Catene dello Spazio mostra le criticità della società moderna, lo sviluppo ipotetico che rischiamo di dover affrontare e il grande inganno delle meccaniche economiche. Attraverso paradossi e metafore, vengono prese in considerazione le lacune della struttura sociale contemporanea e vengono proposti spunti di riflessione socio-filosofica che aprono la strada al miglioramento. 

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“I giorni del mare”, il nuovo singolo di Davide Mottola ispirato al libro omonimo della scrittrice Caterina Adriana Cordiano

I giorni del mare, il nuovo singolo di Davide Mottola ispirato al libro omonimo della scrittrice Caterina Adriana Cordiano

Dal 25 ottobre il brano è disponibile in tutti i digital store

Presentazione del libro e del singolo Venerdì 25 ottobre, ore 18.30 – Teatro della Dodicesima – Roma

Qui il videoclip ufficiale:  

https://www.youtube.com/watch?v=vH9Pl5OkJzM 

 Non possiamo sapere se sia già accaduto, ma di certo non è storia di tutti i giorni che un libro ispiri una canzone. 

Succede con I giorni del mare, nuovo singolo del cantautore Davide Mottola (dal 25 ottobre 2024 disponibile in tutti i digital store), ispirato al libro omonimo della scrittrice Caterina Adriana Cordiano, pubblicato nel 2019 da Pellegrini Editore. 

Il libro, dato alle stampe pochi mesi prima che il Covid 19 facesse irruzione nelle nostre vite, pur ottenendo lusinghieri consensi di pubblico e di critica letteraria, non ha potuto godere naturalmente della giusta e capillare promozione; ma ecco ora improvvisamente nutrirsi di una nuova vita grazie al contributo artistico del cantautore romano, catturato dalle innumerevoli sfumature ed incursioni del romanzo. 

Un uomo alla ricerca della sua identità, la fuga dalle delusioni e dagli intrighi che coinvolgono la sua vita affettiva e professionale, il distacco dall’inquietudine della città, la ricerca di un riparo segreto, l’abbraccio con le sue origini, con la vastità del mare, per poter placare i suoi turbamenti e ritrovare se stesso. 

Da queste suggestioni, nasce il desiderio di Davide Mottola di tradurre in versi ed in musica questo percorso, nel quale ogni ascoltatore, come ogni lettore, può riconoscersi, identificarsi, o confrontarsi con la propria personalità, con la propria avventura umana. 

Canzone e libro, in un inedito e straordinario abbraccio, viaggeranno in questo progetto, scritto e diretto da Gerry Mottola, giornalista e direttore artistico. 

Un percorso denso di momenti, occasioni, incontri e confronti che avrà il suo inizio Venerdì 25 ottobre, alle ore 18.30, presso il Teatro della Dodicesima di Roma, con la presentazione del libro e del brano. 

All’evento, promosso da Frammenti Sonori Associazione Culturale, in collaborazione con TamTam Cultura APS e Condi-Visioni.it, testata giornalistica on line, parteciperanno Caterina Adriana Cordiano, autrice del libro, Davide Mottola, autore e interprete del brano, Cettina Quattrocchi, Presidente Consulta della Cultura Municipio Roma IX, Gerry Mottola, autore del progetto.  

Nello stesso giorno avverrà la pubblicazione del brano (prodotto da Gerry Mottola e Davide Mottola per la Long Digital Playing di Luca Bonaffini, con gli arrangiamenti di Edoardo Petretti) in tutti i digital store. 

Successivamente, un’altra presentazione si terrà a Napoli nel mese di novembre, mentre per il mese di dicembre è in preparazione una serata evento a Roma che vedrà la partecipazione di importanti artisti ed autorità intellettuali. Un “concerto in viaggio” sulle note musicali, letterarie, poetiche, umane e sociali del libro e della canzone. 

 Davide Mottola sui Social 

https://www.facebook.com/davidmottola 

https://www.instagram.com/davide__mottola/ 

https://www.tiktok.com/@davidemottola?_t=8k0sLfx0YaH&_r=1 

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“In fabula” il nuovo disco di Oscar Del Barba OX Trio, trentaduesima produzione per nusica.org

In fabula 

Oscar Del Barba OX Trio 

Un repertorio davvero originale. Un raffinato intreccio tra modern jazz e musica contemporanea, tra scrittura contrappuntistica e ricerca ritmica.    

La copertina del nuovo disco di Oscar Del Barba – Ox Trio

Trentaduesima produzione per nusica.org, associazione culturale ed etichetta musicale particolarmente attenta nella promozione e nel supporto di artisti innovativi.

Il nuovo lavoro di Oscar Del Barba in uscita il 18 ottobre 2024. Il disco è anticipato dall’uscita del singolo Il pipistrello e le donnole, disponibile dall’11 ottobre. 

È un denso dialogo tra composizione e improvvisazione l’ultimo lavoro di Oscar Del Barba – Ox Trio in uscita il 18 ottobre per l’etichetta musicale nusica.org.  

Il suggestivo titolo In fabula racchiude il senso di un’opera prismatica, dalle componenti intrecciate, in cui il rapporto tra le parti dà forma a un sound ora etereo e spazioso, ora denso ed energico. Il risultato è un lavoro stratificato, tra armonia e ritmo, in cui i ruoli dei musicisti si alternano in modo inconsueto per una formazione, il piano trio, centrale nella tradizione della musica afroamericana. La poetica riflessa nelle esecuzioni e nelle registrazioni assume un carattere trasversale, una vocazione interstiziale che fonde contaminazioni diverse destinate a unirsi in uno stile unico, che si uniforma in esecuzione. 

Le idee compositive di Oscar Del Barba si articolano in rivoli di motivi impreziositi dal lavoro in sinergia con Giacomo Papetti e Andrea Ruggeri, tesi a un’esecuzione cameristica dove l’attività di ognuno è indispensabile per la costruzione dell’”evento sonoro”. Un trio improntato dunque a una straordinaria qualità del suono, a un’intensità esecutiva che mira al coinvolgimento dell’ascoltatore. 

I dieci brani che compongono l’album hanno titoli dal sapore mitico (Il cane e il campanello; Il cavallo e l’asino; Il lupo e l’agnello; Il topo di campagna e il topo di città; L’aquila e lo scarafaggio; La cicala e la formica; La rana e lo scorpione; La volpe e il caprone; La volpe e l’uva; La volpe e la pantera; Il pipistrello e le donnole), ispirati alle favole di Esopo. Ognuno racconta una storia dai contorni mobili, è il capitolo di un’opera potenzialmente interminabile che conserva il senso delle antiche tradizioni guardando al valore dell’incontro, dell’intreccio con la modernità sperimentale. Così, in questo terreno liminare, l’ascoltatore è libero di immaginare un proprio racconto e di costruire, a partire dalla musica, un proprio film o una suggestione sensoriale, superando il puro atto nominativo e dando un corpo alle storie in movimento. 

Il trio ha al suo attivo diversi album: OX (2016) con composizioni originali di Oscar Del Barba nelle quali vengono utilizzate la dodecafonia, la politonalità, ritmi dispari, polimetria; Giuseppe Verdi entangled con Achille Succi (2019) in cui i passi d’opera di Verdi vengono decontestualizzati e rivestiti con colori del tutto originali mediante l’utilizzo di elementi rock-progressive che richiamano le composizioni di Frank Zappa; un progetto su West side story di L. Bernstein sempre con la presenza di Achille Succi, dove i passi dell’opera di Bernstein sono impreziositi da un attento uso dell’elettronica; In fabula, ultimo lavoro col quale la formazione torna alla sua dimensione originale. Con questi progetti OX Trio si è esibito in festival e rassegne ricevendo recensioni positive su giornali e riviste. 

Oscar Del Barba è nato a Brescia nel 1968, diplomato in pianoforte, Jazz, composizione e in orchestrazione per banda. È un artista eclettico per “bisogno espressivo”: questo bisogno l’ha portato a comporre e suonare in diversi stili musicali: dal pop al jazz, dalla musica “classica” alla musica etnica e popolare di diverse zone del mondo, formando uno stile personale complesso e popolare al tempo stesso. Nel 1993 e 1994 vince due borse di studio per il Berklee College of Music in Boston. Vincitore di numerosi premi in importanti concorsi pianistici e di composizione sia classica sia jazz (tra cui il I premio al Concorso Internazionale di composizione “Scrivere in Jazz” di Sassari nel 2002). Per il suo operato musicale nel 2009 gli viene conferito il prestigioso “Premio Gorni Kramer” (VII. Edizione). 

Vanta collaborazioni come pianista con importanti musicisti del panorama musicale e jazzistico internazionale come Markus Stockhausen, Dave Liebman, Ralph Alessi, Javier Girotto, Matt Renzi, Sandro Gibellini, Francesco Bearzatti, FlacoBiondini, Ares Tavolazzi, Paolo Silvestri, Mauro Negri, Simone Guiducci,Roberto Dani, Salvatore Maiore, Fausto Beccalossi, Achille Succi, GuidoBombardieri. Per il pop ha più volte suonato col cantautore Francesco Guccini. È stato ospite a trasmissioni su Radio Tre ed è molto richiesto come arrangiatore. Oscar Del Barba ha tenuto concerti sia come pianista sia come fisarmonicista, oltre che in Italia, in prestigiosi teatri e auditorium in diversi paesi (Argentina, Perù, Ecuador, Colombia, Messico, Guatemala, Turchia, Paesi Scandinavi, Paesi Baltici, Germania, Francia, Olanda, Belgio, etc.). L’attività didattica ha accompagnato da sempre quella concertistica e compositiva.  Attualmente è docente della classe di Pianoforte jazz del Conservatorio di Musica “Giuseppe Verdi” di Milano. 

Giacomo Papetti è nato a Brescia nel 1984. Bassista elettrico e acustico, contrabbassista, compositore, arrangiatore e produttore artistico, esordisce giovanissimo come strumentista accanto a cantautori locali e all’interno di cover band. Oggi è attivo in ambiti musicali diversi: dai linguaggi trasversali del jazz contemporaneo, al pop/rock alternativo, con una forte prevalenza per repertori di musiche originali e di ricerca. Ha all’attivo l’incisione di più di 30 album. È leader e compositore di: The Loom, gruppo ispirato alla musica antica e contrappuntistica, con Fulvio Sigurtà alla tromba, Achille Succi al clarinetto basso, Nelide Bandello alla batteria; Small Choices (con E. Maniscalco al pianoforte e G. Rubino ai clarinetti); Oltaploc (laddove il jazz di Mingus si scontra con il free e Frank Zappa con M. Milesi ai sax, G. Bianchetti alla chitarra, G. Boggio Ferraris al vibrafono, N. Bandello alla batteria). È co-leader di vari gruppi, tutti dediti alla musica originale: Dimidiam (con Massimiliano Milesi al sax, un duo di matrice cameristica tra folk e armonie contemporanee). Oltre a innumerevoli collaborazioni nel circuito rock e popular in ambito jazzistico è richiesto strumentista e membro di gruppi votati a repertorio originale quali Oscar Del Barba OX trio e quartet, Massimiliano Milesi OOFTH, Paolo Bacchetta, Mood Ellington, Paolo Profeti  etc. Quartet, Clank Quartet di MIDJ Lombardia 2016) e tanti altri. Ha tenuto centinaia di concerti in Italia e all’estero. 

Andrea Ruggeri Batterista, compositore, arrangiatore e didatta, inizia a suonare la batteria all’età di undici anni, perfezionandosi prevalentemente da autodidatta e partecipando a vari seminari, master class e laboratori di ricerca. Attualmente frequenta il secondo anno del triennio accademico di Batteria e percussioni jazz. Attivo nelle nuove musiche, nel jazz e nella musica popolare contemporanea, ha collaborato e collabora con numerosi artisti nazionali ed internazionali, suonando in diversi festival e rassegne in Italia, Austria, Francia, Germania, Belgio, Grecia, Spagna, Romania, Norvegia, Russia, Marocco, e registrando oltre trenta dischi. Dal 2014 è leader dell’ARE Andrea Ruggeri Ensemble che vede coinvolti tredici musicisti tra Sardegna, Calabria, Emilia Romagna, Val D’Aosta, Lombardia, Veneto e Friuli, che si avvicendano in diversi progetti e formazioni. Il 2017 è l’anno del suo debutto in solo con la performance IDcard. 

  1. Il cane e il campanello (08:14)
  2. Il cavallo e l’asino (07:45)
  3. Il lupo e l’agnello (03:33)
  4. La volpe e il caprone (03:21)
  5. L’aquila e lo scarafaggio (06:44)
  6. Il topo di campagna e il topo di città (02:59)
  7. La volpe e l’uva (04:55)
  8. La rana e lo scorpione (04:42)
  9. La cicala e la formica (03:44)
  10. La volpe e la pantera (03:30)

Oscar Del Barba | pianoforte, composizioni 

Giacomo Papetti | contrabbasso 

Andrea Ruggeri | batteria, percussioni 

Tutti i brani sono di Oscar Del Barba, mixati da Oscar Del Barba, Giacomo Papetti e Andrea Ruggeti, masterizzati da Michele Marelli. 

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