OMAGGIO A GIANNI CELATI, narratore, camminatore, giocoliere, fantasticatore.
a cura di Dafne Leda Franceschetti
«Chi è Gianni Celati?», si domanda Marco Belpoliti, nel testo che introduce il Meridiano recentemente dedicato a Gianni Celati, da lui curato assieme alla collega Nunzia Palmieri; il saggio in questione s’intitola La letteratura in bilico sull’abisso, titolo perfettamente adatto per presentare un autore in rapporto controverso con la Letteratura. Nel Meridiano, la massima glorificazione letteraria nel nostro Paese, è definito un «outsider», ma paradossalmente quest’intellettuale laterale e multi-verso viene assunto al rango di classico.
Celati può essere certo detto un «outsider», un unicum, per innumerevoli motivi, a partire dalla sua natura anfibia: da un lato si è trattato di uno scrittore tra i più colti ed “ammalati” di bibliofilia della letteratura del Novecento, ma allo stesso tempo è stato colui che per anni ha distrutto con l’ironia del satirico i miti di ieri e di oggi, svelando quella frammentazione dei saperi che si (mal)cela dietro a un’immagine intera e monolitica della realtà, e soprattutto tentando con la passione dell’archeologo di riportare alla luce, in barba ad ogni gerarchia, le microstorie e tutti i prodotti culturali spazzati via dalla Tempesta del progresso di benjaminiana memoria.
Il suo «eroe» è stato Don Chisciotte, l’hidalgo nato dalla penna di Cervantes, «martire degli eccessi della passione romanzesca, che passa imperturbato attraverso le censure della critica, ossia degli intenditori che vorrebbero ricondurlo sulla retta via», il simbolo della «follia per identificazione romanzesca», prendendo in prestito le parole di Michel Foucault, è stato per certi versi lo specchio di Celati, uno scrittore amante dei libri che insegue le proprie fantasie, o, per dirla con il lessico da lui stesso coniato, le proprie «fantasticazioni». Eppure questo ritratto è ancora assai riduttivo.
Lo scrittore nato a Sondrio, ma emiliano di adozione, ha esordito sulla scena letteraria nella seconda metà degli anni Sessanta, apparentemente sotto l’ala della Neoavanguardia, ed il suo debutto come saggista e narratore è stato all’insegna di un originale sperimentalismo linguistico, che guarda piuttosto a Céline, a Joyce e a Beckett. Il suo primo interesse è stato il linguaggio, i suoi aspetti sintomatici, i manierismi e con tutta la sua potenzialità sovversiva; tra le sue pagine ha raccontato d’aver subito la malia, nei primi anni universitari, della linguistica saussuriana e dello strutturalismo, eppure si è dimostrato molto presto incapace di sottostare a tanto rigide regole testuali. Il suo cammino laterale lo ha portato all’incontro con la lingua dei pazzi, dei bambini, con le parlate dialettali e sgrammaticate dei proletari, quei linguaggi ancora in grado di dimostrare la naturalezza e la spontaneità ormai quasi perdute nella narrativa che si trova nelle librerie. La sua scrittura è inimitabile, poiché frutto degli stimoli più disparati, sintomo di un’incredibile apertura mentale, di una capacità di entrare in tutti gli spazi extra-letterari con la stessa curiosità, dal cinema, alla fotografia, al teatro, alla musica, all’arte, è una scrittura che mira a mantenere i colori brillanti del parlato ed uno spessore corporeo.
Un ritratto ancora riduttivo di un intellettuale-professore capace di animare seminari straordinari e «matti» (come direbbe lo Cheshire Cat di Carroll) che hanno lasciato tracce in tutta una generazione, da Pazienza a Tondelli, da Freak Antony a Bifo; ha camminato, fotografato, diretto, attraversando mezzo mondo, dall’America dei beatnik alle padane terre metafisiche avvolte nella nebbia, per finire sulle bianche scogliere a picco sul mare.
Un uomo, un narratore le cui pagine e parole mi hanno cambiata nel profondo, mi hanno alleggerita – cosa non facile – e mi hanno dato la possibilità di incontrare, tra Francia e Italia, persone bellissime, grandi studiosi e studiose che onorano ogni giorno ed in maniera sopraffina la sua opera.
con il patrocinio e il sostegno del VII Municipio di Roma
La Crociata dei Bambini. Artisti per il disarmo
Da un’idea e per la cura di Roberto Gramiccia
finissage
21 gennaio 2024 ore 11.00 Villa Lazzaroni
Via Appia Nuova 522, Roma
Trentacinque artisti visivi espongono opere selezionate per manifestare contro la guerra, a favore del disarmo e per una rapida soluzione diplomatica dei conflitti in corso.
Ennio Alfani, Andrea Aquilanti, Gianfranco Basso, Valeria Cademartori, Ennio Calabria, Caterina Ciuffetelli, Angelo Colagrossi, Gianni Dessì, Paolo Di Nozzi, Stefano Di Stasio, Davide Dormino, Mariano Filippetta, Alessandra Giovannoni, Pierluigi Isola, Ernesto Lamagna, Felice Levini, H.H. Lim, Adele Lotito, Federica Luzzi, Mauro Magni, Giuseppe Modica, Luca Padroni, Roberto Pietrosanti, Salvatore Pulvirenti, Nicola Rotiroti, Pietro Ruffo, Massimo Ruiu, Giuseppe Salvatori, Stefano Salvi, Sandro Sanna, Maurizio Savini, Vincenzo Scolamiero, Normanno Soscia, Silvia Stucky, Alberto Timossi
Roma – Si terrà domenica 21 gennaio 2024, alle ore 11 presso il Teatro di Villa Lazzaroni (Via Appia Nuova 522), il finissage de La crociata dei bambini. Artisti per il disarmo, la grande mostra per la pace ideata e curata da Roberto Gramiccia.
Inaugurata lo scorso 13 dicembre, l’esposizione ha visto il contributo di artisti di fama nazionale e internazionale chiamati a esprimere, con tecniche e linguaggi diversi, il proprio sdegno contro lo “scandalo della Storia”.
Così, richiamandosi alla ballata di Bertold Brecht già rievocata da Vinicio Capossela nella scrittura di una recente canzone, l’arte torna a invocare con i propri strumenti uno scenario alternativo, liberato dagli orrori della guerra.
In occasione dell’incontro verrà presentato il catalogo della mostra, edito da Edizioni Efesto. All’evento parteciperanno il curatore Roberto Gramiccia, l’Assessore alla Cultura del VII Municipio Riccardo Sbordoni e Fabrizio De Sanctis, della Segreteria Nazionale ANPI. Modera Ginevra Amadio. Seguirà un reading di poesie di Giuseppe Ungaretti a cura dell’attrice Marina Benedetto, dal suggestivo titolo Ho scritto lettere piene d’amore.
Alle ore 11:45, nell’attigua Sala Consiliare della Villa dove la mostra è ospitata, si terrà la performance di Silvia Stucky Seduti davanti alla catastrofe, con Melissa Lohman e Juanni Wang.
L’esposizione è visitabile fino al 21 gennaio, il mercoledì e il sabato ore 16.00 –
“Felice e grande quando ti unisci a Dio” (San Gaspare del Bufalo)
Il Convegno Nazionale rivolto ai giovani presso la Fraterna Domus a Sacrofano
Il Convegno Nazionale che si svolgerà a Sacrofano presso la Fraterna Domus, dal 3 al 5 gennaio 2024, è organizzato dall’Ufficio di Pastorale Giovanile della Congregazione dei Missionari del Preziosissimo Sangue. Tale appuntamento radunerà 300 giovani dai 15 ai 20 anni che appartengono alla Unione Sanguis Christi o simpatizzano per la spiritualità del Sangue di Cristo. È un incontro pensato dai giovani per i giovani, per tutti coloro che nutrono il desiderio di mettersi in gioco ancora una volta con Gesù.
Tre giorni in cui c’è spazio per la riflessione e l’ascolto, per il divertimento e l’allegria. Il Convegno, però, è anche e soprattutto luogo di conversione, se vissuto con profondità. Ogni giorno i giovani ricevono tante provocazioni che li inducono ad interrogarsi sul senso della loro esistenza o su come stanno spendendo la loro vita. Il Convegno può essere una sollecitazione a fare un salto di qualità, da una visione superficiale del mondo ad una densa di significato. Tante saranno le testimonianze di persone che, nelle difficoltà della vita, hanno trovato pace e conforto in Cristo e hanno ricominciato tutto daccapo, una vera Vita nuova, mano nella mano con Lui!
Il momento culminante di tutto il Convegno sarà la Veglia Eucaristica, che si svolgerà durante l’ultima sera. È la cima della montagna che si raggiunge solo dopo aver scalato per tre giorni, desiderosi di voler riposare.
«La magia si rinnova anche quest’anno» – afferma don Daniele Bertino, direttore dell’Ufficio di Pastorale Giovanile della Congregazione dei Missionari del Preziosissimo Sangue – «e sarà per noi un onore ospitare alcuni atleti paraolimpici per sensibilizzare sulla diversità come ricchezza; Vito Alfieri Fontana, ex produttore di mine antiuomo con cui parleremo di guerra; Lele Spedicato, chitarrista dei Negramaro e l’Associazione Italiana Carlo Urbani con cui rileggeremo il periodo della pandemia».
Archeologia del presente. C’era una volta la Collatina antica.
Intervista a Stefano Marinucci
a cura di Luca Carbonara
Nel suo personalissimo percorso esistenziale, in cui vita e arte si fondono in un felice e fortunato connubio, sembrano prevalere innate capacità sensoriali: una straordinaria capacità di osservazione le ha permesso infatti di declinare una scrittura ambientale così come un’altrettanto straordinaria capacità di ascolto le ha permesso di diventare competente in acustica. Come nasce Stefano Marinucci scrittore e come diventa video artista e tecnico competente in acustica?
Era una mattina di tantissimi anni fa, presso la scuola elementare Giovanni Randaccio, un edificio austero degli anni Venti. La maestra ci portò in biblioteca e ci consigliò di scegliere un libro a nostro piacimento, dai molti presenti nella vasta sala. Mi attirò da subito quella copertina rigida, con l’illustrazione di quattro figurine umane appese a una mongolfiera alla deriva, sopra una specie di atollo. L’isola misteriosa, di Jules Verne. Un amore a prima vista. L’idea del viaggio, del mistero, dell’avventura. Lettura e scrittura si sono intersecate e specchiate, da quel giorno, senza soluzione di continuità. Fino alla scoperta delle fotografie e delle riprese in VHS, grazie a un collettivo di artisti che orbitavano dentro un padiglione occupato con le pareti di amianto – Zona Rischio – sempre a Casal Bertone. C’erano stage con il Living Theatre, corsi di sceneggiatura, reading di poesie d’avanguardia e concerti. Come gli abitanti della città arcaica hanno tracciato un’area sacra inviolabile, così quei luoghi (tra cui la Casa della Studentessa, dove ho vissuto per tanti anni essendo figlio del custode) sono diventati il paradigma di una componente talmente profonda degli esseri viventi da sembrare aliena, quasi catartica. Non sono stati semplici contenitori dell’esperienza umana, ma territori simbolicamente enigmatici, portatori di nuovi linguaggi. Una stagione irripetibile: rischio nucleare, guerra fredda, videoarte e scritture elettroniche. Il lavoro come tecnico ambientale ha fatto il resto, detonando tali prerogative culturali, fra reale e immaginario.
Scienza e arte sono per lei indissolubili. Apparentemente inconciliabili come codici di accesso, lettura e interpretazione del visibile, del fisicamente tangibile, nella visione patafisica (le è stata conferita la carica di Grande officioso ed è stato nominato membro Parafisico), che tanto ha influenzato scrittori e artisti, si giunge a una scienza delle soluzioni immaginarie, una logica dell’assurdo, una sorta di parodia della metafisica. Come si è avvicinato a questa visione e a questo pensiero che potrebbe sembrare a prima vista una contraddizione in termini, un ossimoro?
Gesta e Opinioni del dottor Faustroll, patafisico di Alfred Jarry, inizia con il sequestro, da parte dell’ufficiale giudiziario dei beni del dottor Faustroll, poiché accusato di non aver pagato l’affitto da lungo tempo. L’ufficiale scrive il suo processo verbale sopra una carta intestata, dove riporta gli oggetti che sono nell’appartamento. La lista include l’elenco dettagliato e in ordine alfabetico dei 27 libri che compongono la biblioteca del dottore. In questo luogo fantasmagorico ci sono opere di simbolisti affermati (Baudelaire, Rimbaud, Mallarmè) e opere di scrittori contemporanei di Jarry. Ma anche letture d’infanzia e racconti di viaggio, tra cui Viaggio al centro della terra, di Jules Verne. Sembrerebbe questo il filo sotterraneo da seguire, un libro di Jules Verne e una biblioteca. Un luogo contenitore, che consente di calcolare la superficie di tutte le divinità presenti e non presenti, fino al paradosso che scienza e arte possano essere indissolubili. La biblioteca come contenitore uovo, o mongolfiera, aporetico e arcano, a rappresentare la scienza delle soluzioni immaginarie. L’incontro con Tania Lorandi – allieva di Enrico Baj, scultrice, pittrice, scrittrice – avvenuto proprio all’interno di una biblioteca anarchica al Pigneto, segna l’inizio di una collaborazione con il sistema patafisico italiano.
Nella sua ultima fatica letteraria, a metà strada tra il reportage, la denuncia (inevitabile il richiamo ad Antonio Cederna) e il racconto, C’era una volta la Collatina Antica, edito da Intra Moenia Edizioni, che nel titolo sembra voler richiamare ed echeggiare gli antichi incipit delle favole, lei intraprende e al tempo stesso propone un viaggio, suddiviso in dieci tappe, dall’antica Porta Tiburtina all’antica città di Gabii, lungo una delle più antiche strade consolari della Città Eterna, la Collatina appunto, con lo spirito del flaneur, richiamando da un lato l’elogio della lentezza dall’altro Le rêveries du promeneur solitaire di Rousseau. Perché questa scelta? E qual è lo stato d’animo che l’ha ispirato prima e accompagnato dopo?
C’è stata un’inchiesta, prima di questo libro. Uno spostamento esplorativo lungo l’antico tracciato della via Collatina, per comprenderne le trasformazioni urbanistiche e ambientali, per denunciare la scriteriata alterazione degli ecosistemi e la distruzione della Campagna romana, nonché la vera e propria scomparsa di emergenze archeologiche. Con l’editore abbiamo successivamente pensato di approfondire la parte storica, arricchendo l’opera con foto e itinerari che testimoniassero quanto sia andato irrimediabilmente perduto. La motivazione, lo stato d’animo, il senso di questo viaggio è lo stesso che ha mosso Rumiz e la sua banda a camminare l’Appia Antica, dopo tanti lunghissimi anni di oblio. La madre di tute le vie, dimenticata in secoli di sventramenti, incuria e ignoranza – il Raccordo Anulare la tagliava in due fino al 1999, uno scempio scandaloso durato quasi mezzo secolo. Identico destino è toccato alla via Collatina Antica e a tutte le altre vie consolari antiche, non meno importanti della Regina Viarum. D’altronde camminare è anche un atto politico, un atteggiamento dell’anima e una predisposizione culturale; percorrere un tracciato ormai quasi del tutto immaginario – seppellito sotto lo strato moderno, oppure perduto per sempre – rappresenta un’azione civica, oltreché poetica. L’approccio è stato anche di tipo ambientale: uno sguardo sui corsi d’acqua trasformati in fossi di scarico, in mezzo a slum e asteroidi, l’inquinamento acustico che va di pari passo con quello atmosferico. Tutelare e preservare un’area o un fazzoletto naturalistico significa allontanare lo spettro dell’inquinamento, rendere migliore la salubrità del micromondo in cui si vive. Insomma, un’avventura terribile e meravigliosa, quasi un viaggio a ritroso, come a voler ripercorrere la nostra memoria storica e il nostro tempo perduto.
In questo viaggio lungo quindici chilometri, percorsi rigorosamente a piedi, lei si è totalmente affidato ai suoi sensi: il libro è corredato di suggestive fotografie che restituiscono un volto ai luoghi narrati “dicendo” più delle stesse parole. Si è perciò affidato, in primis, a ciò che vedeva, a ciò che sentiva, lei in prima persona, e, in secundis, ai racconti dei diversi personaggi, eletti via via a testimoni, che ha incontrato strada facendo nelle diverse tappe del suo percorso che le hanno permesso di scoprire i segreti e i misteri di una città tutta ancora da scoprire. Di fronte all’evidente degrado, al malsano rapporto tra la modernità delle ferrovie e dei treni sempre più veloci e i resti dei mosaici, degli acquedotti, della fullonica e delle necropoli, che cosa resta dell’inestimabile valore della campagna romana e dell’antico splendore della Città Eterna e che cosa c’è ancora da scoprire e preservare?
Le cartografie di zonizzazione acustica – visibili a tutta la cittadinanza – sono davvero emblematiche. Prendendo il quadrante inerente al percorso della via Collatina emerge immediatamente un dato significativo: non esistono più aree verdi, tutelate anche da un punto di vista acustico. Le cosiddette “aree protette”. A esclusione del Parco della Cervelletta, l’unico lembo rimasto intatto, minacciato ancora dall’edilizia e dalle speculazioni. Si tratta di una riserva dove il volontariato, le istanze dal basso e i singoli cittadini si sono sostituiti alle istituzioni che non sono state in grado di proteggere l’ultima porzione naturale di questo quadrante. Tutto il resto sono aree di tipo misto, con attività commerciali e infrastrutture, aree industriali, aree ad alta densità urbana. La più grande fullonica imperiale è andata perduta, l’antica cittadina di Collatia – che ha avuto un ruolo decisivo nella cacciata dell’ultimo re, Tarquinio il Superbo, fino alla proclamazione della Repubblica romana – è andata distrutta. Quel poco che gli archeologici sono riusciti a recuperare si trova al Museo Nazionale Romano, nella sezione di Protostoria dei Popoli Latini. Eppure ci sono ancora territori intatti da preservare, esplorati grazie a guide appassionate e sensibili: le Latomie di Salone, la riserva naturale Valle dell’Aniene, purtroppo contaminata da numerose attività industriali e insediamenti privati – contraddizione più unica che rara – all’interno proprio dell’oasi naturale. C’è un articolo della Costituzione, troppe volte disatteso, dimenticato, cancellato, che potrebbe tornare utile, ogni tanto. La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione.
In quell’indissolubilità di rapporto tra memoria archeologica, che vuol dire anche recupero e salvaguardia degli archetipi del Tempo come eterno presente e del respiro dell’antica Madre, e stato degli ecosistemi risiede la nostra più importante responsabilità. Dalla cronaca del suo viaggio, sembrano levarsi accorati appelli e grida di dolore dai fantasmi ancora vivi nei luoghi da lei attraversati: può essere considerato davvero questo il progresso, l’evoluzione cui per sua natura l’uomo dovrebbe tendere? E come possiamo ancora salvarci?
La questione ecologica pone riflessioni complesse, di ordine filosofico, psicologico, culturale. Purtroppo è un problema di complicata risolvibilità dati i ritardi della psiche umana, perché la cura dell’ambiente e del patrimonio – entità indissolubili – non è stata ancora interiorizzata. La natura è percepita soltanto come materia prima da sfruttare, al servizio della tecnica e delle attività umane. Disponiamo di un’altra etica? Abbiamo davvero capito che il nostro territorio è una fonte inesauribile di tesori paesaggistici e archeologici? Il professor Montanari afferma che la cultura è connessa agli ecosistemi. Deturpando questi ultimi si impoverisce anche il nostro patrimonio storico. Oltre a peggiorare la qualità della vita delle varie comunità viventi. Nessuno ci ha autorizzato a distruggere ciò che abbiamo ereditato dalla storia e dalla geografia.
Quali sono i suoi programmi futuri?
Per la testata online Abitarearoma è in cantiere un’inchiesta lungo la via Ardeatina, dallo sbarco di Enea lungo le coste laziali fino al Divino Amore. Due modi di pensare, due entità culturali a confronto, tra incuria e bellezza. Per l’editore Intra Moenia stiamo preparando un’opera inerente ai fiumi del Lazio protostorico, una guida fluviale di Roma e dintorni, con approfondimenti sulle possibili escursioni e gli eventuali itinerari lungo l’alveo dei fiumi. Alla scoperta del Genius Loci che alberga ancora nell’acqua di queste sconosciute e arcaiche entità fluviali.
Venerdì 30 dicembre dalle 17.00 alle 19.00 webinar organizzato, nell’ambito delle iniziative del Terzo Settore, dall’Osservatorio Euro Mediterraneo Mar Nero che è uno strumento di lavoro dii Fispmed onlus (Federazione Internazionale per lo Sviluppo Sostenibile e la Lotta alla Povertà nel Mediterraneo e Mar Nero). Interverranno Raffaele Crocco (giornalista, ideatore e direttore del progetto “Atlante delle Guerre e dei Conflitti del Mondo”); Maurizio Del Bufalo (Presidente dell’Associazione “Cinema e Diritti”, fondatore, coordinatore e promotore del Festival del Cinema dei Diritti Umani di Napoli; Massimiliano Marianelli (Professore Ordinario di Storia della Filosofia presso l’Università degli Studi di Perugia); Giovanni Savino (Storico, specialista di Russia ed Europa Orientale); Luciano Scalettari (giornalista, Presidente di ResQ – People saving People); Nicolò Rinaldi (Funzionario Parlamento Europeo, già europarlamentare del gruppo ELDR).
Ultimo evento di presentazione per l’anno 2023 presso la Biblioteca di Casperia del volume edito da Cultura e dintorni EditoreGontran lo spazzino Gontran le balayeur di Juliette Seïna Deweze con le illustrazioni di Valentina Baldazzi e Vladimir Liad. Protagonisti la magia e il sogno in compagnia di Gontran lo spazzino e Vladimir la marionetta, il pittore più piccolo del mondo. Da non perdere
È con grande entusiasmo che Laura Giordani e Valerio Ailo Baronti vi invitano alla presentazione del loro libro, edito da Hoppy, che si terrà il 19 dicembre 2023 alle ore 18:00 presso la Casa del Cinema di Roma nella Sala Cinecittà, Largo Marcello Mastroianni 1. Tra gli ospiti, interverranno: Francesco Vairano, Presidente AIDAC, direttore di doppiaggio e dialoghista della saga tolkeniana; alcuni doppiatori del film; Toni Biocca vicepresidente AIDAC e Presidente Commissione Cinema SIAE; Giovanni Serra giurista e Direttore Ed. Hoppy. Seguirà un aperitivo.
“Interiormimetico”: la forma del silenzio in Paolo Fichera
di Ginevra Amadio
Una duplice forma di estraniamento si impossessa di chi si accosti alle opere di Paolo Fichera, perché all’immediato rimando al maestro della solitudine, Edward Hopper, si affianca la sensazione di fare i conti con l’impalpabile, con ciò che resta in ombra e non si vede. C’è infatti, in ogni tela, un sottile pulviscolo, un’impercettibile patina in dissolvenza che rende il senso di un tempo fermo, in cui la stagnazione emotiva si accompagna all’incomunicabilità, a un’anestesia percettiva che solo una sguardo altro, inevitabilmente dal margine, potrà forse svelare.
È nello spazio di questa ‘invenzione’, di una verità ricostruita attraverso i mezzi dell’arte che si colloca l’agire pittorico di Paolo Fichera, quasi epitomizzato nell’esposizione Interiormimetico, inaugurata lo scorso 9 novembre nell’ambito delle iniziative di Micro Arti Visive (Viale Mazzini, 1, Roma) per la cura di Laura Catini. Un viaggio nei meandri dell’io, in cui la dialettica interno-esterno concerne uno spazio che è insieme fisico e interiore, senza mai cedere, tuttavia, alle lusinghe di un rispecchiamento romantico, guardando semmai alla lezione dechirichiana, o meglio a una metafisica che Alberto Savinio individuerà come essenziale, una poetica in grado di svelare «quell’altra realtà», che solo un occhio addestrato, «un occhio di poeta» sa bene penetrare. Ogni riferimento finisce tuttavia per sfumare nelle tele di Fichera, che da grande artista esibisce e rielabora le suggestioni per dar vita a qualcosa che è insieme se stesso e altro, come dimostra la cifra di Attesa(2020), dove una ragazza è colta nell’atto di spiare, dalla finestra della propria stanza, lo scorrere di un tempo imprecisato, evocato da fanali che fendono la nebbia. C’è tanto Hopper, e qualcosa dei silenziosi, dolenti vàgeri di Lorenzo Viani anche in Primavera (2019), in cui un uomo e una donna fuggono lo sguardo l’uno dell’altra, rapiti da una notizia che non ha forma, come fossero tesi a un ascolto che sopperisce la vista, un gioco manchevole dei sensi, a sottolineare la solitudine che regna in coppia, i silenzi che diventano lacci che il tempo stringe o logora, senza che si possa mai saperlo, senza capire quando è il momento del fine. In un’eterna solitudine. Tutto, in queste opere di Fichera afferenti a un’ulteriore fase della sua ricerca, che dal tempo sospeso si sposta, forse, sul territorio dell’alienazione globale – fisica, emotiva, relazionale, ambientale – si carica di un sentimento di perdita in grado di collocarsi sul crinale tra straniamento e immedesimazione, come nello spazio indefinito de La tela bianca (2020), grande metafora di un annebbiamento che è assenza di un’unica prospettiva, di un unico – ‘sano’ – sguardo per osservare la realtà.
“Lunedì 18 dicembre, alle ore 12, presso la Sala Soldini della Filt CGIL di Roma e del Lazio (Piazza Vittorio Emanuele 113, terzo piano), nell’ambito dell’assemblea generale della CGIL regionale, si terrà la conferenza stampa di presentazione del Premio Letterario ‘Giuseppe Di Vittorio’. Così, in una nota, la CGIL di Roma e del Lazio e l’Iress Lazio.
“Il Premio, ideato dall’Istituto di ricerche economiche, storiche e sociali del Lazio (Iress Lazio) e promosso di concerto con la Fondazione Giuseppe Di Vittorio e la CGIL di Roma e del Lazio, – continua la nota – mira a sostenere e potenziare, anche in Italia, la letteratura della working class, ossia le opere – romanzi e racconti – che pongono il mondo del lavoro, nelle sue molteplici sfumature, al centro della narrazione, promuovendo le voci delle autrici e degli autori che si sono distinti nel raccontarlo e incentivando al contempo nuove prospettive narrative”.
“Il Premio, alla sua prima edizione, – aggiunge la nota – vuole essere uno stimolo per le lavoratrici e i lavoratori a prendere la parola, a raccontarsi e a raccontare, perché la letteratura è uno strumento conoscenza e di consapevolezza. In alcuni casi, anche di lotta, ivi compresa quella di genere legata al lavoro”.