Mediterraneo tradito e offeso
La necessaria ed epifanica mostra di Giuseppe Modica
a cura di Luca Carbonara
“Il cielo stellato sopra di me e la legge morale dentro di me” il celebre epitaffio di Kant, l’imperativo categorico della percezione di un’incrollabile tensione morale è il primo richiamo cui rimanda il senso di una doppia perdita, dell’infinitudine e dell’innocenza di cui è intriso il sentire poetico che, in nuce, è alla base della visione pittorica di Giuseppe Modica, noto e raffinato pittore di origini siciliane, già titolare della cattedra di Pittura all’Accademia di Belle Arti di Roma e Direttore del dipartimento arti visive, cui è dedicata la mostra Giuseppe Modica. Rotte mediterranee e visione circolare presso la Casa Museo Hendrik Christian Andersen a Roma, in via Pasquale Stanislao Mancini 20 dal 23 aprile al 15 settembre 2024. Una tensione etica che prorompe dallo sguardo pieno di poesia del pittore che si affaccia sul “suo” mare, il suo alter ego con cui instaura un fitto dialogo ricco com’è di miti, di storie, di leggende, divinità esso stesso, quel Poseidone, che per i Greci non era solo il dio del mare, il Nettuno, temuto e adorato dai Romani, ma dove non gli è certo “dolce il naufragar”. Un mare che proprio nella sua liquidità, nella sua impermanenza e nella sua eterna antica bellezza diviene metafora di una condizione, della Vita come della Morte. E sul Mediterraneo, come ancestrale paradigma di una visione e di un atavico sentire, Giuseppe Modica ha focalizzato e incentrato la sua attenzione e la sua ricerca. Uno sguardo che non può (più)essere contemplativo. Quella fluidità transeunte dell’essenza dell’essere e della sua condizione, quella misteriosa e insieme oscura vastità e profondità di un’entità che, culla di civiltà e specchio ustorio di luminosità e sacrale bellezza, mare di Ulisse, di Dante, meta dell’oltre e dell’altrove, è divenuto un muto sepolcro, un plumbeo cimitero senza croci e senza nomi. Solo lo sguardo di un artista, che è sempre la declinazione dell’immortale voce di un poeta, come Giuseppe Modica poteva sintetizzare in modo così efficace e mirabile quei pigmenti per realizzare quel suo blu, si potrebbe dire quel “blu Modica”, quello stesso del pianeta blu, della Madre Terra, per dipingere il (suo) mare. Rappresentazioni, le sue opere, veridiche, che non celebrano ma denunciano come solo un artista può e deve fare nell’ottica di un’arte che non può non essere militante. Invitando a riflettere e scuotendo le coscienze. Un mare calmo quello ritratto da Modica come a voler simboleggiare l’ignavia, l’indifferenza di un intero continente che si affaccia su quel mare che pure gli ha donato la vita. E opere pittoriche che da “Sguardo a distanza” a “Rifrazione” a “Oltre l’orizzonte” a “Fiat Pax” a “Melanconia e Mediterraneo (visione circolare)” a “Luce e buio” offrono la declinazione di quella che diventa una originalissima visione che, muovendo dalla lezione dei grandi pittori del Cinquecento e del Seicento, da un lato tocca le coscienze con gli innumerevoli simboli (i numeri incisi sui mattoni di un muro con più in alto sullo sfondo il mare; il mare solcato da navi che non sono certo di quelle pacifiche che hanno alberi o vele; i teschi di vittime senza nome; il mare che costretto tra due alti palazzi ha rispetto a questi la linea dell’orizzonte più bassa; l’orizzonte stesso più volte ritratto abitato da altre terre ed entità lontane), dall’altro si sviluppa sulla linea dello spaziotempo in una visione che diventa circolare. Ed è questa la cifra stilistica, il valore aggiunto dell’arte e del contesto prospettico di Giuseppe Modica: la struttura quadridimensionale dell’universo. Il mare che diventa artefice della curvatura dello spaziotempo. Una pittura, quella di Giuseppe Modica, che contestualizza dunque una visione che, racconto, denuncia e indignazione è insieme pittorica e filmica svolgendosi su lunghi piani sequenza essendo questa stessa pittura essenza e sintesi di geometrie, prospettive, campi e controcampi. I migranti, che con le loro drammatiche storie e i loro immani dolori rappresentano le memorie perdute e la cattiva coscienza dell’umanità, sono gli invisibili artefici di quelle rotte disegnate dalla speranza in un destino diverso. Nella luce tenue e diafana dei quadri di Giuseppe Modica, nelle sue velate trasparenze, nell’insistita sovrapposizione dei riquadri, nei suoi spiragli e negli anfratti palpitano indomiti i loro cuori. Mare Mediterraneo che “blu Modica” e senza colpa resta e respira ancora.