Il nuovo saggio edito per i tipi di Cultura e dintorni Editore nella collana Saggi/Cinema Profumo di donna. Un percorso di ri-nascita e ri-conoscenza si inserisce in uno dei filoni di studio e di ricerca della casa editrice che dal 2014 ha visto uscire una serie di titoli, nell’ordine Dieci registi in cerca d’autore (Amedeo Di Sora – Gerry Guida, Roma Cultura e dintorni Editore, 2014), C’eravamo tanto amati. Trent’anni di storia italiana al cinema (Amedeo Di Sora – Gerry Guida, Roma Cultura e dintorni Editore, 2017), Il giardino dei Finzi Contini. Un percorso tra Storia, Cinema e Letteratura (Gerry Guida, Roma Cultura e dintorni Editore, 2019), il cui denominatore comune è sì il racconto della genesi e, insieme, l’analisi dei film e dei loro temi e motivi ispiratori ma soprattutto è lo scandaglio che ciascuna di queste opere si propone di essere di quel misterioso e sempre più stretto rapporto tra il cinema e la letteratura. Vale a dire il legame, sarebbe meglio dire la dipendenza dal momento che si scrive sempre meno per il cinema, tra la Settima Arte e le opere letterarie che divengono ineludibili fonti di ispirazione. Lo scopo di una tale indagine è perciò duplice o, meglio, più articolato: il rapporto tra cinema e letteratura da un lato e la comparazione/commistione/contaminazione dei rispettivi linguaggi espressivi dall’altro in un mutuo e proficuo dialogo. La lettura di un romanzo, del resto, corrisponde già a una “visione” messa in moto dal motore dell’immaginazione e sarà unica per ciascun lettore e tale resterà per tutti coloro che ne fruiranno come singoli lettori. La “visione” di un film tratto da quella stessa opera sarà altrettanto unica per ciascun spettatore ma sarà intermediata, e in qualche misura guidata, dalla “lettura” dello/degli sceneggiatore/i e del regista che ne avranno data una propria lettura e interpretazione. “Visione” che potrà essere condizionata nel senso di intermediata anche dalla lettura che avrà fatto o farà lo spettatore dell’opera letteraria ispiratrice del film. Il tema perciò è quello annoso, e da sempre discusso anche in modo molto acceso e polemico, della trasposizione di un’opera letteraria, e quindi del suo adattamento, in un’opera cinematografica. Ed è una comparazione sempre molto difficile se non impossibile proprio per l’unicità e intraducibilità dei rispettivi registri e codici espressivi. In quest’ottica di commistioni di linguaggi diversi una delle particolarità che rende unico questo saggio edito da Cultura e dintorni è data dal fatto che gli autori nella prima parte dell’opera vivisezionano il film sequenza per sequenza accompagnando questa operazione con una scrittura filmica. Il risultato è che leggendo il libro si “vede” il film e chi dovesse vedere il film dopo aver letto il libro avrà l’impressione di averlo già “visto”. Profumo di donna, film uscito nel 1974 per la regia di Dino Risi, oggetto dell’accurata analisi di questo saggio prefato da Valerio Caprara e ricco di spunti, approfondimenti e interviste, trasse ispirazione dal romanzo di Giovanni Arpino Il buio e il miele pubblicato da Rizzoli nel 1969, l’altro corno dell’indagine di questo volume edito da Cultura e dintorni, e rappresenta a tutt’oggi uno di quei casi in cui l’opera cinematografica più e meglio si avvicina e si amalgama all’opera letteraria. Dino Risi, che insieme a Ruggero Maccari ne scrisse la sceneggiatura, rimase molto fedele all’opera di Arpino che, come altre sue opere e più in generale la sua scrittura dal ritmo incalzante, ben si prestava a una riduzione cinematografica e in questa fortunata trasduzione riuscì, come per altri aspetti e motivi era accaduto dodici anni prima con Il sorpasso, a fare della sua opera uno specchio, una sorta di cassa di risonanza, rivelatore dei tempi in cui il film uscì, quei turbolenti anni Settanta così diversi dagli anni del boom del decennio precedente. Il buio e il miele, titolo già particolarmente evocativo e poetico, che era stato pubblicato solo pochi anni prima, nel 1969, in un certo modo preconizzò i tempi collocandosi la sua uscita proprio alla fine di quel decennio, che con il boom economico e le promesse di un effimero quanto illusorio benessere per tutti aveva finito per far deflagrare, anche drammaticamente e nel sangue con la strage di piazza Fontana, tutte le sue contraddizioni e le istanze ideologiche e sociali, e caratterizzandosi per la sua forte impronta esistenziale. Il “viaggio”, allora, che non a caso ritorna in Profumo di donna, l’espediente narrativo principe della filmografia di Risi di quegli anni, “suggerito” o, meglio, richiamato questa volta al regista dall’opera di Arpino, fu lo strumento, utilizzato nuovamente in forma di metafora, che permise a Risi, alias Gassman, suo alter ego ideale (come lo fu Mastroianni di Fellini), immenso in quella che forse è stata la sua più intensa interpretazione, il capitano dell’esercito Fausto G., di compiere, accanto al “viaggio” da Torino a Napoli, intramezzato da due tappe a Genova e a Roma, accompagnato dal giovanissimo attendente Ciccio (lo sfortunato Alessandro Momo, che morì giovanissimo vittima di un incidente motociclistico), quel viaggio interiore, vera meta e scopo del film, quel percorso catartico dai molteplici valori, significati e chiavi di lettura. Come dice il critico cinematografico Alberto Farina “Profumo di donna è un film che ha due anime che si sovrappongono apparentemente in contrasto ma che in realtà sono in simbiosi. È un film su un desiderio di vita che corteggia la morte, un film su qualcuno che non si arrende nonostante sia stato privato di uno dei sensi, la vista, e viva al massimo quello che gli resta da vivere forse perché sta tirando le somme della sua vita”. Il “viaggio” che ritorna dunque dodici anni dopo Il sorpasso, già nel titolo il manifesto di un’epoca, nel solco della tradizione dei road movie, con affinità e, insieme, con modalità diverse così come lo stesso Gassman, iconico protagonista, che riesce a inventare un personaggio e al tempo stesso a non tradire il personaggio che interpreta, spaccone, guascone è sì l’elemento portante, dominante, il più forte della coppia, dalla personalità talmente spiccata da influenzare quella del compagno di “viaggio”, come già nel duo Gassman-Trintignant del Sorpasso, ma menomato adesso nel fisico, fragile e vero nei suoi momenti di disperazione, divenuto cieco e privato dell’uso di un braccio in seguito a un incidente occorsogli durante un’esercitazione militare. Menomazione che è a sua volta simbolica rappresentazione di una mutata condizione dell’uomo minato nel fisico e nell’anima al punto da pianificare lucidamente la propria morte: un lucido e consapevole “viaggio” verso la morte. Ma se nel Sorpasso la tronfia spacconeria, la beffarda spavalderia dell’uomo, e insieme del suo momento storico, hanno un esito tragico e inappellabile, con la drammatica morte del giovane e puro personaggio interpretato da Trintignant causata dalla dabbenaggine dello spericolato Bruno Cortona (Gassman), in Profumo di donna l’irruzione del sentimento, di quell’amore incondizionato provato per il Capitano dalla giovane Sara (interpretata dalla bravissima Agostina Belli) muterà l’esito di un destino già scritto. Ed è qui, in quel “viaggio” che si rivela essere un percorso catartico di ri-nascita per il dissacrante protagonista, fino ad allora imbevuto di nichilismo e di cinismo, in quel grido disperato “Sara!”, invocata da Gassman nella scena finale del film seguito dall’accorata domanda “Tu sai camminare?” che si compie la sua redenzione. Nella ri-conoscenza e nel ri-conoscimento della forza dell’amore, Amor che nullo amato amar perdona, perché amare, ha ragione Risi, significa scegliere, come dice convintamente Sara a Ciccio, e quando si compie una scelta, questa scelta, non può essere che per sempre.
Luca Carbonara