Il risonante calore di Casa Manet
Intervista a Paola Maria Liotta
a cura di Luca Carbonara
Paola Maria Liotta, lei è una scrittrice di vaglia, particolarmente prolifica e poliedrica che ha saputo coniugare ricerca stilistica e semantica sviluppando e declinando il suo personalissimo stilema in una scrittura che è sia poetica che narrativa. Come nasce Paola Maria Liotta poetessa e scrittrice e qual è stato il suo percorso formativo?
Credo che la mia inclinazione per la scrittura, e prima ancora per la lettura, sia germogliata in me fin da bambina. Mi sono sempre piaciuti i libri, anche annusarli, vederli, toccarli; passare a leggerli è stato naturale, come l’atto stesso di respirare, o di bere un bicchier d’acqua… Sappiamo tutti, però, che non esiste scrittura senza tante letture a monte. Ho sempre assecondato il mio desiderio di scrittura ma, prima di tutto, il vero piacere, un godimento vero e proprio, è stato quello di leggere leggere leggere. Poi, un giorno, è accaduto il prodigio: dalla penna, sul foglio, sono emersi i miei personaggi, le loro vite altrettanto vivide, come se io fossi da sempre immersa nelle storie che narravo e le portassi alla luce dal limbo in cui giacevano. Quando ciò accade, è commozione fortissima. Per quel che concerne i miei studi, dal Liceo Classico alla Facoltà di Lettere è stato un passaggio d’elezione, e la formazione continua tuttora; l’impegno professionale consente di dare ulteriore vigore alle spinte creative, di pari passo con la volontà di ricerca, di confronto, di comunicazione e diffusione della cultura.
Quali ritiene essere stati i suoi buoni Maestri e i suoi più importanti riferimenti letterari?
I miei “buoni maestri” sono stati in primo luogo in casa: i miei genitori hanno dato importanza ai libri, a ciò che alimentava lo spirito, non al superfluo. I miei giochi consistevano sempre nel creare qualcosa da me, e nell’inventarci su un dialogo, un intreccio. Fra gli autori, e sarebbero in tanti quelli che potrei citare, i miei preferiti sono stati i Classici. Ho spaziato per le letterature di vari Paesi, di tanti periodi. Citerei, poi, fra le autrici, giusto alcuni nomi, Anna Banti, Marguerite Yourcenar, Melania G. Mazzucco, lsabel Allende, e poi le poetesse di ogni epoca, dall’antichità a oggi, Saffo e Nosside in testa. Ho molto amato Yehoshua. A una ragazza, a un ragazzo, suggerirei sempre di partire dai Classici. Lì c’è già tutto ciò che è stato detto dopo.
Un filo invisibile attraversa le sue opere a sottendere da un lato il suo forte sentire, che si rivela essere un’irresistibile quanto irrinunciabile tensione vitale, quasi parossistica, quell’amore incondizionato che tutto imbeve e move il sole e l’altre stelle, dall’altro il manifestarsi della più alta espressività umana, nella sua tensione più ideale e divina, che è il compendio delle arti della musica e della pittura – in particolare nei suoi romanzi Piano Concerto Schumann e Casa Manet Sonata per Suzanne – così come dell’incrocio fra mito e realtà, si legga in Al mutar del vento. Quali sono le sue fonti di ispirazione e quali sono gli archetipi della sua ricerca in ambito musicale e nell’ambito del linguaggio figurativo?
Come per la letteratura, le fonti di ispirazione sono davvero tante, se guardiamo sia al vasto campo dell’arte sia all’attualità. La prima grande fonte di ispirazione è il reale, in tutta la sua variegata sostanza, in cui trasfondo e colgo emozioni, curiosità e sentimenti che mi sono propri. E, con il reale, la Storia, le storie piccole e grandi di cui è intessuto. Senza ‘forte sentire’, poi, non esisterebbe Paola, cioè le passioni che mi connotano, i sentimenti che mi animano, gli interessi che mi attraversano, permeano, danno senso giorno per giorno. Tutta la musica è per me fonte d’ispirazione, così come l’arte.
Dal suo ultimo romanzo pubblicato quest’anno da Readaction Casa Manet. Sonata per Suzanne prorompe la sua predilezione per il romanzo storico. Cosa l’ha spinta in questa particolare direzione e in quel particolare contesto storico così tumultuoso, fremente e foriero di cambiamenti in una città, la Parigi di fine Ottocento, al massimo del suo splendore, tramata di fermenti artistici, contrasti politici e ideali, frequentata dai più grandi geni della poesia, della letteratura, della musica e della pittura? È, la Storia, un eterno presente?
Un contesto così ricco e complesso ha indubbiamente determinato l’interesse per le figure che lo animavano. La mia prima idea non era di scrivere di Suzanne; man mano, però, è cresciuto il desiderio di darle voce, giacché tornava con insistenza, fra le pagine dei libri che avevo per le mani, il suo nome insieme con quello di Édouard Manet. Alla fine ho raccolto la sfida, Suzanne Leenhoff meritava il dono della parola, lei che doveva essere stata il porto e la bussola di Manet, fra i tanti bassi e i pochi alti in cui lui dovette barcamenarsi. Suzanne ha creduto in Manet e nella sua arte, ed è stata il punto fermo della sua vita.
La Storia, in fondo, non è che uno specchio in cui leggere il nostro presente, ma anche il nostro futuro; e non per pigro determinismo, ma per le costanti che la attraversano, insite nell’animo umano. La Storia insegna, se siamo disposti a leggerne le lezioni. La lezione di Suzanne è stata quella di un amore assoluto, semplice e forte come lei. Ed è, la sua, una storia nella Storia di un’epoca, di un mondo che non sono poi così lontani da noi, cui noi dobbiamo molto.
In Casa Manet. Sonata per Suzanne una qualificazione, una determinazione, un’aggettivazione di un topos per eccellenza e, nel sottotitolo, una dichiarazione che è a un tempo d’intenti e di amore, si fondono in uno stesso ispirato titolo, il frutto di un vero stato di grazia, la viscerale quasi carnale passione per la pittura e per la musica e i protagonisti testimoni di un amore unico. Ma, soprattutto, è la celebrazione di Suzanne, colei che questo amore ha incarnato fin nelle sue viscere. Un romanzo dunque al femminile, nonostante emerga monumentale la figura di uno dei più grandi artisti e pittori di tutti i tempi Édouard Manet, in cui si stagliano cristalline figure di donne coraggiose, volitive e ricche di talento, desiderose di autodeterminarsi e di vivere liberamente e con passione la propria vita. Quanto è moderna e attuale la figura di Suzanne, pianista di talento, che pur continuando a coltivare la passione per la musica dedicò la sua vita all’amore prima e al ricordo poi di Manet?
Suzanne è proprio una di noi, con le sue fragilità, la sua cieca fiducia nell’altro, il suo coraggio di accettare le differenze e di elaborarne le asperità grazie alla musica e all’amore. È stata una giovane donna dinamica, pragmatica, che dall’Olanda si è recata a Parigi e lì ha vissuto, dando lezioni di pianoforte, questo è un dato certo, inconfutabile. Ma è stata anche una grande pianista, i conoscenti ne esaltavano le doti alla tastiera, paragonandola a un angelo. Oggi magari non avrebbe rinunciato alla passione per la musica, per quanto lei vi rinuncerà soltanto nel versante pubblico, cioè dei concerti, non in quello privato. È comunque una figura attuale, la sua, per la coerenza, per il coraggio, nell’adesione profonda a quei principi di vita che la rendono granitica, devota, serena, al fianco di Édouard. Lo ama in modo assoluto, e questo amore è fonte di salvezza, di cambiamento, di speranza.
Se attraverso la rilettura del passato offerta dalla lente di ingrandimento della sua scrittura e della sua indagine storica così precise e analitiche è possibile entrare in punta di piedi nella magia di Casa Manet, fantasmatico crocevia di vite e di talenti artistici straordinari che rivediamo e ascoltiamo perfino ai concerti, alle esibizioni e alle esposizioni, come quelle che si tenevano al Salon, imbevendoci della magia e della bellezza di quel mondo in trasformazione, allo stesso modo assistiamo e partecipiamo alle intense vite dei protagonisti fatalmente condizionate dalle rigide regole del perbenismo borghese e delle convenzioni: la relazione tra la stessa Suzanne, approdata come insegnante di musica in Casa Manet, ed Édouard Manet celata al severo giudice padre del grande artista, la nascita tenuta segreta perché fuori dal matrimonio del loro figlio fatto perciò credere loro figlioccio. Qual è il grado di libertà raggiunto oggi dall’essere umano e cos’altro può insegnarci quel passato così ricco e fecondo di talenti artistici e geni visionari?
Direi che l’unica grande lezione che se ne possa desumere è quella di trarre spunto dai propri trascorsi e di vivere con responsabilità e fino in fondo il presente. Suzanne dovette sicuramente affrontare disagi e problemi che le convenzioni sociali e le regole di un mondo patriarcale non le risparmiarono, forse anche delle umiliazioni. Seppe resistere alle indubbie traversie della vita con fermezza e serenità, che è la stessa che cogliamo nei ritratti che le fece Manet. Di sicuro esercitò sul giovane Manet, e poi sull’uomo maturo e, alla fine, malato e dolente, un ruolo determinante. Quanto al passato, insegna nella misura in cui noi ne accettiamo sia la lezione sia la sua distanza da noi. Invece, per Suzanne non esiste il passato, esiste il presente di un amore assoluto, oltre cui lei non vede più niente.
A lettura conclusa di questo affascinante e coinvolgente romanzo (un romanzo anche sulla pace e sulla guerra), uno splendido e sontuoso affresco di un’epoca ricco di echi e di rimandi, dai pittori del Secolo d’Oro olandese, ai grandi Maestri della Musica, della Pittura, della poesia e della scrittura, da Listz, a Pissarro, a Cézanne, a Baudelaire, a Zola e alla sua Nanà, resta impressa una duplice chiave di lettura: da un lato una nuova visione del mondo pervicacemente perseguita da Édouard Manet, tra i capofila di quella nuova scuola pittorica allora nascente, l’Impressionismo, che rovesciò i canoni di lettura e di interpretazione del Reale, dall’altro il respiro salvifico della musica che permea e imbeve di sé ogni istante della vita in tutte le sue forme ed espressioni. Ciò che Suzanne chiamava “dare corpo e pensiero al suono”. Qual è il suo rapporto con la realtà e quali sinestesie si possono attivare per rendere più umano, più autentico e più vero il nostro rapporto con la realtà che ci circonda?
Manet apre le fila di un nuovo scenario, ne è cosciente, per esempio, non accetta di esporre al di fuori del Salon con gli Impressionisti, vuole andare fino in fondo, portando il reale sulla tela. Lui è la sua arte, la sua pittura, così come per Suzanne musica e vita diventano un unicum.
Credo che la scrittura possa esemplificare al massimo grado il mio modo di vivere: musica e parole, colori e pennelli, la realtà non vuole essere pedissequamente copiata. Chiede, invece, di essere vissuta con consapevolezza, audacia, curiositas, e con quella creatività che illumina appunto i meravigliosi sentieri dell’arte. E la scrittura, fatta di grandi ideali, aspettative mancate, voli pindarici, gorghi e abissi insondati, sintetizza a pieno il percorso della vita, di ogni vita vissuta con intensità e vigore: un andare cercando, senza fermarsi mai.
Quali sono i suoi programmi futuri?
Tanti, ma così tanti, che forse non basterebbe questa pagina. La scrittura, come sempre, è uno dei percorsi che amo di più. Grazie a voi dell’intervista e di queste belle domande, piene di rimandi e di acute osservazioni, che sono frutto, è evidente, di una lettura approfondita, partecipe. E questo è il riscontro ideale, per chi scrive.