a cura di Luca Carbonara (estratto dell’intervista)
Tu sei giornalista e scrittrice: come nasce in te la passione per la scrittura?
Nasce quand’ero molto giovane, come conseguenza della passione per la lettura. Ho iniziato a leggere da bambina perché era l’unica forma che avevo per conoscere il mondo esterno: i miei genitori – soprattutto il mio autoritario e severissimo padre – tendevano a isolarmi dal mondo esterno e a tenermi rinchiusa in casa. Così ho cominciato a leggere racconti, favole, romanzi, saggi, enciclopedie, persino i dizionari della lingua italiana. Da allora in avanti, anche quando sono riuscita a lasciare la mia casa natale, ogni circostanza per ottenere un libro – in prestito, regalato, letto di nascosto – era buona.
Dopo aver letto tanti libri di ottima qualità, a un certo punto ho notato un cambiamento nell’editoria: non trovavo più che libracci, storie insulse, banali, senza significato e scritte male. Solo più tardi avrei saputo che era entrata a far parte del mondo editoriale la mentalità del giovane manager rampante che considerava e sceglieva un testo solo in base alla fama televisiva dell’autore che gli avrebbe permesso di aumentare le vendite e non sulla base della qualità intrinseca dell’opera. E proprio in quel periodo, pur essendone ancora del tutto ignara, è scattato in me il bisogno di scrivere una storia: volevo scrivere ciò che mi sarebbe piaciuto leggere e che ormai non trovavo più nelle librerie. Ormai infatti il libro era una merce qualsiasi e non un prodotto culturale dall’utilità fondamentale: quella di far uscire le menti umane dal torpore del decadentismo di questa società fallita.
La scrittura giornalistica è venuta ancora dopo. Mi hanno proposto di pubblicare i miei racconti su una rivista, poi di tenere una rubrica letteraria su un’altra rivista, poi di fare delle interviste a importanti scrittori per un’altra rivista ancora, di fare delle recensioni di libri o di spettacoli teatrali. Infine ho cominciato ad appassionarmi anche a questa attività e ho deciso di allargare i miei orizzonti, iniziando a fare degli studi di giornalismo, facendo il praticantato, iscrivendomi all’Albo ed entrando a far parte dell’Ordine dei Giornalisti, prendendo una laurea in tecniche giornalistiche. Così, aumentando le conoscenze e le competenze, ho iniziato a collaborare con varie testate giornalistiche e a scrivere anche di politica, di cronaca bianca, ecc.. Naturalmente il mio primo amore però rimane la letteratura.
Quali sono i tuoi riferimenti letterari?
Sarebbe troppo lungo elencarli tutti; in linea di massima la mia ambizione è quella di riuscire a delineare personaggi sullo stile di Dostoevskij, con il senso ritmico stilistico di Poe, con la fantasia cruda e allo stesso tempo versatilmente dolce di Wilde; ma questa è solo una piccola parte dei miei riferimenti letterari.
Gli autori che ho letto e che mi hanno influenzata, magari anche a livello inconscio, sono tantissimi. C’è poi chi mi ha paragonata ad Aldous Huxley, chi a Lev Tosltoj, chi a Jules Verne. Tanti critici letterari hanno parlato delle mie opere e lascio che sia comunque chi legge a vedere in esse un nesso, una somiglianza o quel che sia con i grandi autori del passato (e spero tanto che qualcosa in effetti ci sia, perché anche se la mia vanità è solleticata da questa possibilità, il buon senso tende a frenarmi e farmi restare con i piedi per terra).
Che cos’è per te la realtà? E’ davvero possibile riuscire a descriverla cogliendone l’essenza?
La realtà uno scrittore (romanziere o sceneggiatore che sia) è l’unico a poterla descrivere nella propria essenza, proprio perché è libero di utilizzare la fantasia. E faccio riferimento alla libertà perché è proprio questo il punto. E’ rimasto solo questo tipo di libertà ai contemporanei: quella poetica e artistica. Per mezzo di una storia inventata in tutto o in parte, si possono utilizzare delle suggestioni, delle ambientazioni significative, inserire riflessioni dei personaggi o della voce narrante, studiare dei dialoghi, lanciare dei messaggi insomma molto più forti che non quelli lanciati da chi nel comune sentire è preposto a descrivere la realtà: il giornalista.
Dico questo perché avendo una doppia veste, quella di giornalista e quella di scrittrice, e dunque una certa esperienza in entrambi i settori (anche come studiosa di entrambi i settori), posso affermare che come giornalista ho le mani molto legate nel riferire l’essenza della realtà. Anzitutto la mancanza di tempo e di spazio – elemento tipico di ogni testata giornalistica – è la prima mannaia che cade sulla testa pensante di ogni giornalista. E a seguire c’è il vincolo della direzione o della proprietà di un giornale, il controllo politico, la tecnica stilistica omologata e omologante, le mille leggi e regolamenti che obbligano il giornalista a riferire giusto due cosucce buttate là per descrivere una situazione immediata che fa apparire la realtà… irreale.