Archeologia del presente. C’era una volta la Collatina antica.
Intervista a Stefano Marinucci
a cura di Luca Carbonara
Nel suo personalissimo percorso esistenziale, in cui vita e arte si fondono in un felice e fortunato connubio, sembrano prevalere innate capacità sensoriali: una straordinaria capacità di osservazione le ha permesso infatti di declinare una scrittura ambientale così come un’altrettanto straordinaria capacità di ascolto le ha permesso di diventare competente in acustica. Come nasce Stefano Marinucci scrittore e come diventa video artista e tecnico competente in acustica?
Era una mattina di tantissimi anni fa, presso la scuola elementare Giovanni Randaccio, un edificio austero degli anni Venti. La maestra ci portò in biblioteca e ci consigliò di scegliere un libro a nostro piacimento, dai molti presenti nella vasta sala. Mi attirò da subito quella copertina rigida, con l’illustrazione di quattro figurine umane appese a una mongolfiera alla deriva, sopra una specie di atollo. L’isola misteriosa, di Jules Verne. Un amore a prima vista. L’idea del viaggio, del mistero, dell’avventura. Lettura e scrittura si sono intersecate e specchiate, da quel giorno, senza soluzione di continuità. Fino alla scoperta delle fotografie e delle riprese in VHS, grazie a un collettivo di artisti che orbitavano dentro un padiglione occupato con le pareti di amianto – Zona Rischio – sempre a Casal Bertone. C’erano stage con il Living Theatre, corsi di sceneggiatura, reading di poesie d’avanguardia e concerti. Come gli abitanti della città arcaica hanno tracciato un’area sacra inviolabile, così quei luoghi (tra cui la Casa della Studentessa, dove ho vissuto per tanti anni essendo figlio del custode) sono diventati il paradigma di una componente talmente profonda degli esseri viventi da sembrare aliena, quasi catartica. Non sono stati semplici contenitori dell’esperienza umana, ma territori simbolicamente enigmatici, portatori di nuovi linguaggi. Una stagione irripetibile: rischio nucleare, guerra fredda, videoarte e scritture elettroniche. Il lavoro come tecnico ambientale ha fatto il resto, detonando tali prerogative culturali, fra reale e immaginario.
Scienza e arte sono per lei indissolubili. Apparentemente inconciliabili come codici di accesso, lettura e interpretazione del visibile, del fisicamente tangibile, nella visione patafisica (le è stata conferita la carica di Grande officioso ed è stato nominato membro Parafisico), che tanto ha influenzato scrittori e artisti, si giunge a una scienza delle soluzioni immaginarie, una logica dell’assurdo, una sorta di parodia della metafisica. Come si è avvicinato a questa visione e a questo pensiero che potrebbe sembrare a prima vista una contraddizione in termini, un ossimoro?
Gesta e Opinioni del dottor Faustroll, patafisico di Alfred Jarry, inizia con il sequestro, da parte dell’ufficiale giudiziario dei beni del dottor Faustroll, poiché accusato di non aver pagato l’affitto da lungo tempo. L’ufficiale scrive il suo processo verbale sopra una carta intestata, dove riporta gli oggetti che sono nell’appartamento. La lista include l’elenco dettagliato e in ordine alfabetico dei 27 libri che compongono la biblioteca del dottore. In questo luogo fantasmagorico ci sono opere di simbolisti affermati (Baudelaire, Rimbaud, Mallarmè) e opere di scrittori contemporanei di Jarry. Ma anche letture d’infanzia e racconti di viaggio, tra cui Viaggio al centro della terra, di Jules Verne. Sembrerebbe questo il filo sotterraneo da seguire, un libro di Jules Verne e una biblioteca. Un luogo contenitore, che consente di calcolare la superficie di tutte le divinità presenti e non presenti, fino al paradosso che scienza e arte possano essere indissolubili. La biblioteca come contenitore uovo, o mongolfiera, aporetico e arcano, a rappresentare la scienza delle soluzioni immaginarie. L’incontro con Tania Lorandi – allieva di Enrico Baj, scultrice, pittrice, scrittrice – avvenuto proprio all’interno di una biblioteca anarchica al Pigneto, segna l’inizio di una collaborazione con il sistema patafisico italiano.
Nella sua ultima fatica letteraria, a metà strada tra il reportage, la denuncia (inevitabile il richiamo ad Antonio Cederna) e il racconto, C’era una volta la Collatina Antica, edito da Intra Moenia Edizioni, che nel titolo sembra voler richiamare ed echeggiare gli antichi incipit delle favole, lei intraprende e al tempo stesso propone un viaggio, suddiviso in dieci tappe, dall’antica Porta Tiburtina all’antica città di Gabii, lungo una delle più antiche strade consolari della Città Eterna, la Collatina appunto, con lo spirito del flaneur, richiamando da un lato l’elogio della lentezza dall’altro Le rêveries du promeneur solitaire di Rousseau. Perché questa scelta? E qual è lo stato d’animo che l’ha ispirato prima e accompagnato dopo?
C’è stata un’inchiesta, prima di questo libro. Uno spostamento esplorativo lungo l’antico tracciato della via Collatina, per comprenderne le trasformazioni urbanistiche e ambientali, per denunciare la scriteriata alterazione degli ecosistemi e la distruzione della Campagna romana, nonché la vera e propria scomparsa di emergenze archeologiche. Con l’editore abbiamo successivamente pensato di approfondire la parte storica, arricchendo l’opera con foto e itinerari che testimoniassero quanto sia andato irrimediabilmente perduto. La motivazione, lo stato d’animo, il senso di questo viaggio è lo stesso che ha mosso Rumiz e la sua banda a camminare l’Appia Antica, dopo tanti lunghissimi anni di oblio. La madre di tute le vie, dimenticata in secoli di sventramenti, incuria e ignoranza – il Raccordo Anulare la tagliava in due fino al 1999, uno scempio scandaloso durato quasi mezzo secolo. Identico destino è toccato alla via Collatina Antica e a tutte le altre vie consolari antiche, non meno importanti della Regina Viarum. D’altronde camminare è anche un atto politico, un atteggiamento dell’anima e una predisposizione culturale; percorrere un tracciato ormai quasi del tutto immaginario – seppellito sotto lo strato moderno, oppure perduto per sempre – rappresenta un’azione civica, oltreché poetica. L’approccio è stato anche di tipo ambientale: uno sguardo sui corsi d’acqua trasformati in fossi di scarico, in mezzo a slum e asteroidi, l’inquinamento acustico che va di pari passo con quello atmosferico. Tutelare e preservare un’area o un fazzoletto naturalistico significa allontanare lo spettro dell’inquinamento, rendere migliore la salubrità del micromondo in cui si vive. Insomma, un’avventura terribile e meravigliosa, quasi un viaggio a ritroso, come a voler ripercorrere la nostra memoria storica e il nostro tempo perduto.
In questo viaggio lungo quindici chilometri, percorsi rigorosamente a piedi, lei si è totalmente affidato ai suoi sensi: il libro è corredato di suggestive fotografie che restituiscono un volto ai luoghi narrati “dicendo” più delle stesse parole. Si è perciò affidato, in primis, a ciò che vedeva, a ciò che sentiva, lei in prima persona, e, in secundis, ai racconti dei diversi personaggi, eletti via via a testimoni, che ha incontrato strada facendo nelle diverse tappe del suo percorso che le hanno permesso di scoprire i segreti e i misteri di una città tutta ancora da scoprire. Di fronte all’evidente degrado, al malsano rapporto tra la modernità delle ferrovie e dei treni sempre più veloci e i resti dei mosaici, degli acquedotti, della fullonica e delle necropoli, che cosa resta dell’inestimabile valore della campagna romana e dell’antico splendore della Città Eterna e che cosa c’è ancora da scoprire e preservare?
Le cartografie di zonizzazione acustica – visibili a tutta la cittadinanza – sono davvero emblematiche. Prendendo il quadrante inerente al percorso della via Collatina emerge immediatamente un dato significativo: non esistono più aree verdi, tutelate anche da un punto di vista acustico. Le cosiddette “aree protette”. A esclusione del Parco della Cervelletta, l’unico lembo rimasto intatto, minacciato ancora dall’edilizia e dalle speculazioni. Si tratta di una riserva dove il volontariato, le istanze dal basso e i singoli cittadini si sono sostituiti alle istituzioni che non sono state in grado di proteggere l’ultima porzione naturale di questo quadrante. Tutto il resto sono aree di tipo misto, con attività commerciali e infrastrutture, aree industriali, aree ad alta densità urbana. La più grande fullonica imperiale è andata perduta, l’antica cittadina di Collatia – che ha avuto un ruolo decisivo nella cacciata dell’ultimo re, Tarquinio il Superbo, fino alla proclamazione della Repubblica romana – è andata distrutta. Quel poco che gli archeologici sono riusciti a recuperare si trova al Museo Nazionale Romano, nella sezione di Protostoria dei Popoli Latini. Eppure ci sono ancora territori intatti da preservare, esplorati grazie a guide appassionate e sensibili: le Latomie di Salone, la riserva naturale Valle dell’Aniene, purtroppo contaminata da numerose attività industriali e insediamenti privati – contraddizione più unica che rara – all’interno proprio dell’oasi naturale. C’è un articolo della Costituzione, troppe volte disatteso, dimenticato, cancellato, che potrebbe tornare utile, ogni tanto. La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione.
In quell’indissolubilità di rapporto tra memoria archeologica, che vuol dire anche recupero e salvaguardia degli archetipi del Tempo come eterno presente e del respiro dell’antica Madre, e stato degli ecosistemi risiede la nostra più importante responsabilità. Dalla cronaca del suo viaggio, sembrano levarsi accorati appelli e grida di dolore dai fantasmi ancora vivi nei luoghi da lei attraversati: può essere considerato davvero questo il progresso, l’evoluzione cui per sua natura l’uomo dovrebbe tendere? E come possiamo ancora salvarci?
La questione ecologica pone riflessioni complesse, di ordine filosofico, psicologico, culturale. Purtroppo è un problema di complicata risolvibilità dati i ritardi della psiche umana, perché la cura dell’ambiente e del patrimonio – entità indissolubili – non è stata ancora interiorizzata. La natura è percepita soltanto come materia prima da sfruttare, al servizio della tecnica e delle attività umane. Disponiamo di un’altra etica? Abbiamo davvero capito che il nostro territorio è una fonte inesauribile di tesori paesaggistici e archeologici? Il professor Montanari afferma che la cultura è connessa agli ecosistemi. Deturpando questi ultimi si impoverisce anche il nostro patrimonio storico. Oltre a peggiorare la qualità della vita delle varie comunità viventi. Nessuno ci ha autorizzato a distruggere ciò che abbiamo ereditato dalla storia e dalla geografia.
Quali sono i suoi programmi futuri?
Per la testata online Abitarearoma è in cantiere un’inchiesta lungo la via Ardeatina, dallo sbarco di Enea lungo le coste laziali fino al Divino Amore. Due modi di pensare, due entità culturali a confronto, tra incuria e bellezza. Per l’editore Intra Moenia stiamo preparando un’opera inerente ai fiumi del Lazio protostorico, una guida fluviale di Roma e dintorni, con approfondimenti sulle possibili escursioni e gli eventuali itinerari lungo l’alveo dei fiumi. Alla scoperta del Genius Loci che alberga ancora nell’acqua di queste sconosciute e arcaiche entità fluviali.