Odissea di una rinascita. Intervista a Valentina Venti

Odissea di una rinascita
Intervista a Valentina Venti
a cura di Luca Carbonara

Valentina Venti

Chi è Valentina Venti, docente di lettere e scrittrice, oggi, in un
presente sempre più grigio e sordo, preda di violenze, egoismi,
individualismi e revanscismi?
Valentina Venti è semplicemente una donna che ha fatto una scelta. Ad
un certo punto ha deciso di aprire le porte della sua vita e di permettere
a tutti di sbirciare nei suoi pensieri e nelle sue emozioni.
Lavorando a stretto contatto con gli adolescenti ed essendo mamma di
due ragazze di diciotto e tredici anni, la visione di un futuro incastrato in
immagini alterate e realtà distorta ha iniziato ad inquietarmi. Non ho di
certo né la possibilità né la sfrontatezza di dire che posso cambiare la
nostra società, ma posso scegliere di giocare con gli opposti e se tutto
attorno a me è grigio, allora io divento colorata. Se dilaga l’egoismo, io
fondo la mia esistenza sull’altruismo. Se tutti tendono all’individualismo,
io tiro fuori la parte più empatica di me. In questo modo sicuramente non
illuminerò il mondo intero, ma se anche una sola persona, osservando le
mie scelte e le mie azioni, deciderà di fare lo stesso, allora avrò
conferma di aver fatto la scelta giusta.
In fondo, la vera rivoluzione non parte dai grandi proclami, ma dalle
piccole azioni di ognuno di noi. Ed io voglio continuare ad essere una di
queste piccole azioni.

Lei è una letterata, da sempre studiosa e amante dei libri che ha
imparato ad amare e a curare salvaguardandone l’integrità e la
conservazione come monumenti e testimoni del tempo. Come è
nata in lei questa passione così viscerale che ha coltivato fino a
farne un’autentica vocazione?
Grazie ad una mamma, a un libro e ad un professore.

Sono nata e cresciuta circondata da libri perché mia mamma è sempre
stata una grande lettrice. Uno dei primi ricordi che ho, quando vivevamo
in un appartamento all’ultimo piano di un palazzo del Centro Storico di
Sulmona, è lei che lava i piatti mentre legge un libro incastrato tra i
pomelli del rubinetto del lavandino. E, in sottofondo, Maria Callas o Tito
Gobbi o Giuseppe Di Stefano. La passione per le parole e i libri è nata in
quei ricordi, come una sorta di imprinting.
Poi determinante è stata la lettura di “Fahrenheit 451” di Ray Bradbury
quando avevo più o meno quattordici anni. C’è un passaggio in questo
romanzo che possiamo definire di spannung: un’anziana donna
preferisce morire bruciata viva con i suoi libri piuttosto che vederli
distruggere dai pompieri. È esattamente in quel momento che Montag, il
protagonista, ruberà di nascosto un libro per poi leggerlo in casa,
scatenando quel moto di consapevolezza che sfocerà dirompente nel
finale. Penso di aver riletto quelle poche pagine almeno dieci volte! E
continuo a leggerle, a voce alta, in tutte le aule in cui ho la fortuna di
poter insegnare.
E poi, dieci anni dopo, c’è stato “il prof”, un anziano professore di Lettere
del Liceo Classico che cercava una lettrice perché ormai quasi cieco. Fui
scelta io perché me la cavavo bene con la lettura in metrica del greco e
del latino. Il suo studio era un mondo magico. Il prof ricordava
perfettamente la posizione di ogni volume ed io ricordo ancora l’odore
dei suoi libri. Insieme abbiamo viaggiato tanto facendoci trasportare da
quelle parole e molto del mio essere insegnante oggi lo devo a lui.
Questi sono senza dubbio i tre pilastri su cui poggia la mia passione per
i libri e tutto questo perché davvero la letteratura può aiutarti nel tuo
percorso di crescita, a volte più di qualsiasi altra cosa. I libri non ti
abbandonano mai, sono lì pronti ad aiutare i tuoi pensieri a ricomporsi e
la tua anima ad elevarsi.

Dalla passione viscerale per i libri alla passione viscerale per la
scrittura: quando e come è avvenuto questo passaggio cruciale,
questa sublimazione?

Il passaggio è stato graduale. Scrivere mi è sempre piaciuto, ma dal
diario personale alla stesura di un libro il passaggio è stato tanto lungo
quanto complesso. Ma complesso nel senso latino del termine, lì dove
“complexus” significa abbracciare e comprendere.
Ho riletto e criticato gran parte di quanto avevo scritto negli anni
precedenti, ma tutto ha portato alla definizione del mio stile.
Fino a quando mi sono ritrovata con una storia pazzesca da raccontare
(la mia!) e a quel punto tutto è stato semplice, perché la mia penna era
già pronta.

Nel suo romanzo d’esordio pubblicato nel 2023 da BookRoad, Per
poi svegliarmi in un quadro, lei si mette a nudo in un racconto
elaborato come un flusso di coscienza, dalla scrittura piana,
limpido, ragionato, equilibrato in un dialogo condiviso pagina per
pagina, momento per momento con i lettori ma il cui interlocutore
principale è lei stessa in un atto unico grondante di coraggio e
umiltà. La realtà, e con essa la vita, imprevedibile, insondabile, non
è mai quella che ci aspetteremmo o desidereremmo: qual è stato il
percorso che l’ha portata ad accettare, affrontare, vivere sotto pelle
la malattia sviscerandone le assurdità, la crudeltà e, se possibile, il
senso?
In qualche modo dovevo sopravvivere. Questo è quanto.
Quello che ho vissuto in due anni e mezzo mi ha fatto perdere l’equilibrio
molto spesso. Guardarsi allo specchio e non riconoscersi, la sensazione
di essere un guscio vuoto senza più nulla di tutto quello che ti rende
donna, fare i conti con i cambiamenti che danno la stessa vertigine di
una capriola in aria. Ad un certo punto ho avuto bisogno di un aiuto.                                     Le persone che mi erano accanto non bastavano più. Io stessa non bastavo più.

E mi sono affidata ad una professionista, una bravissima psicoterapeuta                                che ha saputo darmi gli strumenti giusti per accettare, affrontare e vivere la mia
malattia. Ma il senso no. Quello sono riuscita a trovarlo soltanto scrivendo il mio
libro.

Le storie vere, il sottotitolo del suo libro recita: Una storia vera,
hanno un peso specifico diverso che le rende uniche. Perché? È la
vita vera, insondabile, imprevedibile, inimmaginabile come il
destino?
Perché tutto nasce da un patto che lo scrittore sottoscrive con i suoi
lettori. Quando ci si apre a tal punto da rendere la propria vita un
insieme di parole in cui tutti possono ritrovarsi, è normale che il patto di
sincerità renda tutto unico.
Pensi al mio libro. Non ci sono riferimenti geografici e tutti i
co-protagonisti sono riconoscibili grazie a nomi generici (lui, il pittore, la
collega, l’oncologa, …). Ma con una eccezione, un nome: il mio. Perché
la storia raccontata nel libro è la mia storia ed il lettore deve potermi
ritrovare e riconoscermi e ogni volta che legge il mio nome sa che non
mi sto inventando nulla.
Ci ho tenuto molto all’indicazione “Una storia vera”, così come non è
stato semplice trovare la giusta descrizione nel colophon (Nomi,
personaggi, luoghi ed eventi narrati sono frutto dell’esperienza personale
dell’autore). È un po’ come dire al lettore: “Hey, qui dentro ci sono io. Se
ti va di conoscermi, portami a casa e leggimi”.
E poi, diciamolo, siamo tutti un po’ voyeur…

Che cos’è, che voce, sguardo, colore ha il dolore?
Parliamo di dolore fisico o emotivo?
Riguardo a quello fisico, mi è difficile dare una risposta perché ho
sempre considerato il dolore parte integrante del mio essere, non come
qualcosa di esterno che posso vedere, toccare e descrivere. Esso per me,                soprattutto in questi ultimi anni, è quel compagno di viaggio che mi
avvisa quando c’è qualcosa che non va, che mi mette in guardia e non
mi permette di lasciarmi andare a problemi non reali. Mi sono salvata
almeno in un paio di occasioni grazie all’aver dato ascolto al mio dolore
e di questo ne parlo nel mio libro. Quindi, per coerenza, potrei
rispondere che il dolore ha la mia voce, i miei occhi e i miei colori. Ma di
certo non il mio sorriso.
Riguardo al dolore emotivo, esso è quel qualcosa che ti acceca e ti fa
perdere l’equilibrio, che ti inchioda e non ti permette di evolvere. Ha
presente i Thestral di Harry Potter? I cavalli alati dal corpo scheletrico
che sono visibili solo da chi ha avuto a che fare in qualche modo con la
morte? Bè, nel mio caso il dolore emotivo ha quell’aspetto ed una voce
che scende lungo la schiena come gocce gelate. Ma un giorno la mia
terapista mi disse che era giunto il momento di perdonarmi la mia
malattia ed è ciò che ho fatto.
Il dolore te lo perdoni quando non ti fai sopraffare. E devi farlo o
diventerà rabbia.

Che cos’è e come si vince la paura?
La paura è il frutto della rottura di uno schema.
Tutte le volte che ci capita qualcosa che non ci permette di portare
avanti la nostra vita come l’abbiamo programmata e ci fa perdere il
controllo sugli eventi, ecco che arriva la paura.
Come si vince? Imparando a fermarci. Dobbiamo rallentare e
sorseggiare il tempo che scorre attimo dopo attimo o rischiamo di
perderci. Solo in questo modo gli eventi inaspettati non alterano il nostro
modo di percepire la realtà. Solo così possiamo godere in pieno della
vita.

Che cosa dice la Valentina di oggi alla Valentina di ieri?

Fai un test genetico e non rifiutare mai un invito per un caffè o un
aperitivo!
Scherzi a parte, la Valentina di oggi di certo consiglierebbe a quella di
ieri di accettare ciò che accade con maggiore leggerezza.
Ero sempre troppo arrabbiata, troppo coinvolta e poco lucida per godere
ciò che di bello mi accadeva. Mi lamentavo spesso per tutto perché
perennemente alla ricerca di una approvazione esterna che non arrivava
quasi mai. Ma soprattutto ero sempre lì sospesa, in attesa che il tempo
curasse ogni disagio. Ma il tempo non cura le ferite, non cura niente. Ciò
che cura le ferite è un patto che facciamo con noi stessi. L’importante è
riuscire ad attaccarsi a qualcosa che ci fa stare bene.
Quindi, cara Valentina di ieri, segui sempre la bellezza e regalati la
felicità.

Ha imparato a gestire e a organizzare le immagini come le visioni,
artificiosamente indotte o meno, e soprattutto a sognare a occhi
aperti? Ha imparato a lasciarsi andare?
Quello dell’imparare a visualizzare non è un percorso semplice. Occorre
tanto, tantissimo allenamento ed una grande forza di volontà.
Ma io sono testarda e alla fine, sì, ho imparato. Anche se a volte gli
eventi continuano a frenarmi.

Il titolo del suo romanzo, Per poi svegliarmi in un quadro, è una
sorta di sineddoche, l’espressione della meta di un percorso fatto
di consapevolezza e della vertigine di un dolore, quella parte per il
tutto che ne racchiude, vale a dire ne incornicia, la preziosità.
Un’immagine poetica svelata da un sogno durante un sonno
artificiale. Chi sono i protagonisti?
In quel mio sogno i protagonisti erano due persone sconosciute che si
scambiavano un cuore ed io ero lì, in silenzio, a guardarli. Ma in realtà i                    protagonisti dei miei sogni sono tutte le persone che mi hanno aiutata e
mi sono ancora accanto e non mi riferisco soltanto alla sfera familiare.
In quel sonno artificiale, ritrovarmi in quel quadro (“Dammi il tuo cuore” di
Simone D’Amico) mi ha permesso di trovare la giusta chiave di lettura di
tutto quello che stavo vivendo. Per una vita intera mi sono sentita una
cornice, ora so di essere io il quadro.

Quali sono i suoi programmi e progetti futuri?
Dopo quello che ho vissuto, devo essere sincera, non programmo più il
mio futuro, a meno che non si tratti di viaggi.
Però posso preannunciare che entro Pasqua sarà pubblicata, sempre
dalla BookRoad, una raccolta di racconti futurealistici ed io sono una
degli undici autori. Ho anche pronta una raccolta di poesie e sto
scrivendo un nuovo libro. Ma stavolta non parlerò di me. Sarà un
romanzo storico, ma non aggiungo altro. Tanto ne parleremo alla nostra prossima intervista!

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