“Non sono questi i luoghi delle amicizie superficiali. Lontano dai nostri cari, tutti nelle medesime condizioni, dinanzi agli stessi pericoli, alle medesime gioie insperate, alle medesime consolazioni, come non possiamo stringerci in forte amicizia? Dopo il combattimento, quando ci ritrovavamo, ci abbracciavamo e ci baciavamo piangendo come bambini”
(dalla lettera del 03-05-1916, Zona di guerra)
Così scriveva in una sua lettera ai suoi cari il mio prozio Sisto Monti Buzzetti dal fronte della Prima guerra mondiale. Il 9 giugno del 1917 moriva ucciso da una bomba. Era la vigilia del suo Ventunesimo compleanno. Aveva appena terminato i suoi studi superiori. Come centinaia di migliaia di suoi coetanei morì immolato sull’altare di una Patria che lo mandò al macello in una guerra spaventosa voluta dalle grandi potenze di allora e da generali senza scrupoli in una terribile carneficina che spezzò le giovani vite di uomini che se fossero sopravvissuti ben altro corso avrebbero senz’altro dato alle sorti del nostro Paese. Mio zio Sisto, il quale orgogliosamente porta il suo nome, alcuni anni fa volle raccogliere le sue quasi trecento lettere, che raccontano 462 giorni di guerra, in un epistolario pubblicato nel 2008 da Terre di mezzo Edizioni – Fondazione Archivio Diaristico Nazionale e che vinse il “Premio Pieve – Banca Toscana 2007”. Dalla ricomposizione come dall’analisi di questo mosaico emerge un vivido spaccato della sofferta vita di trincea, nel cui fango con la vita affondò la giovinezza di una Nazione, cadenzata dal succedersi degli eventi bellici, corpo a corpo, combattimenti, scontri sempre più cruenti che il giovane Sisto ebbe però cura di non rivelare in tutta la loro terribile e sanguinosa drammaticità per non allarmare e non far stare troppo in apprensione i propri cari. Il bisogno di comunicare essendo a un tempo dimostrazione di autentica devozione verso i suoi genitori e l’amata sorella (la scrittura il filo indissolubile che nemmeno la morte potrà spezzare), e necessità di dare vita a un dialogo altro e alto con se stesso. Non mancano le considerazioni di un giovane già adulto che sa guardare in faccia la realtà al di là di ogni vana illusione e la proprietà di linguaggio come la sua ricercatezza si dimostra essere non un semplice seppure prezioso strumento, di cui ha piena e sicura padronanza, ma il chiaro segno di una maturazione ante litteram del pensiero, in termini di profondità di visione, sempre in accordo con il cuore e con l’anima cui non cesserà mai di dare ascolto. Assenti invece in queste lettere il cedimento a una facile retorica, l’esaltazione dell’amor patrio pur nella consapevolezza di stare svolgendo, come farà, purtroppo fino all’estremo sacrificio, il suo dovere a cui nonostante tutto mai sarebbe venuto meno. È uno sguardo sempre più consapevole e critico quello che va via via emergendo e insieme maturando: accanto alla consapevolezza di come in quelle drammatiche circostanze fossero autentici e diventassero salvifici i legami con i commilitoni, le critiche, non velate, alla stessa censura, ai generali visti come troppo sordi e distanti. E nello scorrere delle pagine di queste fitte e intense lettere, e con esse del tempo, regista tanto invadente quanto implacabile, l’andamento, tra paure e presentimenti sempre più pressanti, dello spirito, dell’umore, del morale che prendono corpo e voce con i loro alti e bassi, e, ancora, la spontanea esternazione dei fugaci entusiasmi come degli inevitabili abbattimenti E leggendo le missive si vive la limpida parabola umana di un giovane uomo e con lui quella di un Paese trascinato tutto intero senza distinzione di classe nella follia di un conflitto spaventoso con tutte le sue contraddizioni, in primis sociali e materiali. La drammatica parabola di un Paese, dunque, e, insieme, di un continente, che non seppe e non volle evitarlo mettendo così fine alla sua stessa identità, che sfocerà in quello che poi sarà un lungo Primo dopoguerra, l’anteprima del più sanguinoso conflitto che la storia umana abbia mai conosciuto: il Secondo tragico conflitto mondiale. Nelle pagine di Sisto, nelle sue illuminate e illuminanti cronache dal fronte, brilla una prosa limpida caratterizzata da una scrittura piana intrisa, in particolare in alcuni passaggi di rara bellezza, di intenso lirismo a dimostrazione della profonda sensibilità di questo giovane mandato al macello i cui occhi e il cuore seppero andare oltre lo stesso orrore riuscendo a “sentire” il respiro di quel miracolo che è la vita, la natura che lo circondava fonte spesso di ispirazione, di conforto ed esaltazione. Il significativo titolo di questo epistolario è in perfetta sintonia con il carattere diaristico dell’opera: Scusate la calligrafia, un’ulteriore manifestazione di affetto e attenzione nei confronti dei suoi cari, riprende le sue parole scritte in una delle ultime lettere nella quale si scusava per la posizione scomoda nella quale si trovava costretto a scrivere. I lettori di oggi e di domani, come già quelli di ieri, non potranno non continuare a rivolgere un commosso pensiero a lui e a tutte le giovani innocenti vittime di ogni conflitto che ha insanguinato e continua a insanguinare il nostro mondo. Occorre essere sempre grati al potere salvifico della parola e della scrittura sua ancella che, sempre vive, permettono di perpetuare il ricordo e la memoria.
Luca Carbonara