Il mito come viaggio nell’autocoscienza del singolo, un grimaldello capace di scardinare le narrazioni più viete, sclerotizzatesi nel tempo. È questo lo spirito che innerva Al mutar del vento di Paola Maria Liotta, una riscrittura leggendaria in costante equilibrio tra tradizione e sabotaggio, quasi un pretesto per la messa in scena di alcuni personaggi, finalmente spogliati dei ruoli convenzionali. Il sottotitolo già esplicita l’intento dell’opera: La ‘vera storia’ di Arianna, Teseo e il Minotauro, figurine orfane della loro anima, quasi identiche l’una all’altra nel livellante corso della storia. La lettura di alcune pagine rende evidente la preziosità della prosa, lo stile colto tendente al lirismo, intessuto di nostalgia, tenerezza, frutto di un lavoro minuzioso sulla sintassi, quasi a cercare un ritmo in grado di dire, di fissare gli accenti di una nuova “umanità”. Articolato in tre sezioni (Monologhi in forma di visioni; Dialoghi di vento e di mare; Narrazioni di terra e di cielo), il lavoro presenta tracce di un’antica verità, lentamente smembrata in frammenti di senso, allorché ogni attore svela il proprio punto di vista, riallaccia fili di un racconto ormai sfibrato. Nel finale campeggia lei, Arianna, eroina depurata del ruolo ancillare, capace di andare oltre le apparenze, di soffrire, di amare. Di essere donna reale.
Paola Maria Liotta, Al mutar del vento. La vera storia di Arianna, Teseo e il Minotauro, Napoli, Il Convivio, 2021
La Redazione